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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 20458 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “Ha diritto a restare in servizio fino a 70 anni il giornalista che, compiuti i 66 anni formula all’azienda (Rai) domanda per restare e questa, anche senza risposta formale lo mantiene in servizio, per più di 16 mesi e poi formula una proposta di risoluzione del contratto” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 3.8.2018).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 20458/2018.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 21.1.2016 rigettava il reclamo proposto ex art. 1 comma 58 L.n. 92 del 2012 dalla … spa nei confronti del lavoratore giornalista avverso la pronuncia emessa inter partes dal Tribunale della stessa sede, con la quale erano state accolte le domande del lavoratore volte a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato dalla società, in data 30.5.2014.

Trascorso il periodo di oltre un anno dal compimento del sessantaseiesimo anno di età, … aveva infatti formulato domanda per la prosecuzione del rapporto di lavoro sino al 70° anno, ai sensi dell’art. 24 comma 4 d.l. 201 del 2011 conv. in L.n. 214/2011. L’azienda, pur non rendendo una formale risposta, lo aveva mantenuto in servizio e solo successivamente, trascorsi sedici mesi, aveva formulato una proposta di risoluzione consensuale del rapporto che era stata, tuttavia, rifiutata dal lavoratore giornalista.

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La Corte territoriale, nello scrutinare la articolata vicenda, muoveva dalla considerazione, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’art. 24 c. 4 d.l. n. 201 del 2011 convertito in l.n. 214/2011 non attribuisce al lavoratore un diritto potestativo di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo ma si limita a prefigurare condizioni previdenziali di incentivo alla prosecuzione del rapporto. La disposizione in esame prevedeva infatti la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino al 70° anno, si determinassero le condizioni per consentire ai lavoratori interessati di proseguire nel rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore e fermo restando il consenso del datore di lavoro. Per la prosecuzione del rapporto era dunque necessario il consolidarsi dei coefficienti di trasformazione e il consenso del datore di lavoro.

Nello specifico la Corte riscontrava la sussistenza di entrambi i requisiti, ritenendo che un accordo per la prosecuzione del rapporto – non necessariamente da esprimersi in forma scritta – fosse intervenuto tra le parti.

Facendo richiamo, quale canone ermeneutico dello statuto negoziale, agli obblighi di correttezza e buona fede, espressione di un generale principio di solidarietà sociale imposto dall’art. 2 Cost., che imponeva alla società di prendere tempestiva posizione sulla domanda, il giudice del gravame argomentava che il comportamento assunto da parte aziendale, pienamente consenziente alla prosecuzione del rapporto per un periodo di oltre 16 mesi dalla domanda e ben al di là del raggiungimento dell’età pensionabile, integrasse un elemento significativo, univoco e concludente nel senso di configurare una tacita accettazione della proposta contrattuale formulata dal lavoratore giornalista.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra enunciato.

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