La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 19460 del 2018 ha reso il seguente principio di diritto: “Non è licenziabile il lavoratore che dica parolacce o comunque utilizzi espressioni volgari se queste non si concretizzino in ingiurie gravi nei confronti dei superiori” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 19460/2018.
Con sentenza del 7 aprile 2017, la Corte di Appello di Roma, in sede di reclamo ex art. 1, comma 54, L.n. 92/2012, confermava la decisione resa dal Tribunale di Velletri ed accoglieva la domanda proposta da … nei confronti della .. s.a.s., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per successive varie inadempienze, sancendo, ai sensi del novellato art. 18, comma 4, L.n. 300/1970, il diritto del … alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nel limite di 12 mensilità.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto provato soltanto il primo degli addebiti contestati, peraltro, tale da legittimare, in base al codice disciplinare di cui al CCNL, l’irrogazione di una mera sanzione conservativa, derivandone la dichiarata illegittimità e l’applicazione dell’indicato regime sanzionatorio.
Per quel che qui interessa la società censurava la sentenza laddove la Corte aveva ritenuto che le parolacce e volgarità dette dal lavoratore quale reazione all’ordine impartitogli di effettuare lavoro straordinario, non rivestissero carattere ingiurioso e diffamatorio e non fossero perciò tali da legittimare l’applicazione della sanzione espulsiva, in coerenza con il disposto delle clausole del CCNL.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva dichiarato inammissibile dalla Corte Suprema.