La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 14468 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto “il datore di lavoro non può decurtare dal computo delle ferie i giorni di permesso fruiti in base all’art. 33, comma 3, della legge 104 del 1992” (dal Quotidiano del diritto del Sole 24 Ore del 7 giugno 2018).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 14468/2018.
Con sentenza del 28 gennaio 2016 la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, aveva accolto la domanda avanzata da … diretta al riconoscimento della illegittimità della decurtazione operata dal datore di lavoro … spa dei giorni di permesso fruiti ex art. 33, c. 3, Legge 104 del 1992 nel computo delle ferie.
In particolare, la Corte Suprema ha stabilito che nel decidere altre controversie, relative alle analoghe questioni di computabilità di detti permessi ai fini della tredicesima mensilità e della gratifica natalizia, ha ritenuto che “la limitazione della computabilità (…) dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge 104 del 1992, in forza del richiamo operato dal successivo comma 4 all’ultimo comma dell’art. 7 della legge n. 1204/1971 (abrogato dal d.lgs. n. 151 del 2001, che ne ha tuttavia recepito il contenuto negli articoli 34 e 51), opera soltanto nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario – che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall’indennità per i permessi ex legge 104 del 1992 commisurata all’intera retribuzione), risultando detta interpretazione idonea ad evitare che l’incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso” (cfr. Cassa n. 15345/2014 e 14187/2017).
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il datore di lavoro che è stato rigettato dalla Corte Suprema con condanna altresì alle spese di lite.