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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 12437 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “sì alla reintegra del dipendente licenziato per superamento del periodo di comporto se la crisi depressiva che lo ha costretto alle ripetute assenze è dipesa dal mobbing del datore” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 22.5.2018).

Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 12437/2018.

Con sentenza 14 gennaio 2016, la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari dichiarava illegittimo il licenziamento intimato da … s.p.a. con lettera 8 ottobre 2004 alla dipendente … per superamento del periodo di comporto, condannando la società datrice alla sua reintegrazione nel posto di lavoro in mansioni equivalenti a quelle svolte prima del maggio 2001 e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di una indennità pari alla retribuzione globale di fatto dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge, delle somme, già rivalutate e comprensive di interessi legali, a titolo di danno biologico, di Euro 29.340,00 per invalidità temporanea (per i periodi dal 22 aprile al 3 ottobre 2003 e dal 20 marzo al 30 settembre 2004) e di Euro 15.709,78 per invalidità permanente nella misura del 6%: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande della lavoratrice.

In esito a diffusa ed argomentata ricostruzione del quadro probatorio, la Corte territoriale riteneva un comportamento mobbizzante da parte datoriale per lo svuotamento progressivo delle mansioni di più elevato contenuto professionale svolte dalla lavoratrice fino al mese di maggio 2001, in un clima di sua crescente ed afflittiva emarginazione: determinate l’insorgenza in … secondo un nesso eziologico verificato (e stimato nelle sue conseguenze di danno) sulla base della rinnovata C.t.u. medico-legale criticamente valutata, di una sindrome depressiva persistente, giustificante le numerose assenze dal lavoro e comportante l’illegittimità del licenziamento e le pronunce sopra indicate.

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Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra enunciato.

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