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La Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 86 del 2018, è intervenuta sulla natura del risarcimento che spetta al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo e mancata reintegrazione nel posto di lavoro stabilendo che la somma versata dal datore di lavoro è da considerarsi risarcitoria e non retributiva. Ciò comporterà che, in caso di riforma della sentenza di reintegrazione, il datore di lavoro potrà richiedere indietro la somma versata al lavoratore.

Per capire meglio la portata della decisione di cui alla sentenza 86/2018 riportiamo di seguito il comunicato della Corte Costituzionale del 23 aprile 2018.

“L’articolo 18” supera il vaglio di costituzionalità quanto alla natura “risarcitoria” dell’indennità dovuta dall’azienda che si rifiuti di eseguire l’ordine provvisorio di riammissione in servizio del dipendente licenziato. Indennità che va quindi restituita in caso di successiva riforma del provvedimento. Tuttavia, il datore di lavoro che non esegue l’ordine di reintegrazione provvisoriamente esecutivo, perché preferisce “scommettere” sulla sua successiva riforma, può essere messo in mora dal dipendente e andare incontro al risarcimento del danno per la mancata reintegrazione, da quando è stato emesso l’ordine a quando è stato riformato.

La puntualizzazione è contenuta nella prima sentenza sul Jobs Act della Corte costituzionale, la n. 86 depositata oggi (relatore Mario Morelli).

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La Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18, quarto comma, della legge 20 maggio 1970 n. 300 come sostituito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012 n. 92, sollevata dal Tribunale di Trento con riferimento all’articolo 3 della Costituzione.

Nella sentenza si legge che “la concreta attuazione dell’ordine di reintegrazione non può prescindere dalla collaborazione del datore di lavoro poiché ha per oggetto un facere infungibile”. Tuttavia, l’inadempimento del datore di lavoro configura un “illecito istantaneo ad effetti permanenti”, da cui deriva un’obbligazione risarcitoria del danno da parte del datore nei confronti del dipendente non reintegrato. La norma denunciata, quindi, non è irragionevole ma “coerente al contesto della fattispecie disciplinata” perché – spiega la Corte – l’indennità è collegata a una “condotta contra ius del datore di lavoro e non a una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente”.

Di qui la natura risarcitoria (e non retributiva) dell’indennità, e l’obbligo del lavoratore di restituirla qualora l’ordine di reintegrazione venga riformato. La Corte, però, ha aggiunto che “scommettere” sulla riforma dell’ordine di reintegrazione – senza eseguirlo – può essere fonte di risarcimento dei danni da parte dell’azienda. Il lavoratore, infatti, può mettere in mora il datore di lavoro che si rifiuti di adempiere l’ordine di riassunzione provvisoriamente esecutivo. E la messa in mora – nello speciale contesto della disciplina di favore del lavoratore – gli consentirà di chiedere all’azienda, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni subiti per il mancato reintegro, da quando è stato emesso l’ordine provvisoriamente esecutivo a quando è stato riformato.

(Fonte: Corte Costituzionale)

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