La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 6987 del 2018, ha dichiarato “illegittimo il licenziamento discriminatorio il cui criterio di scelta, ufficialmente tendente ad alleggerire un reparto, in realtà si basa sulla volontà del datore di punire chi non ha dimostrato flessibilità sui turni” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore).
Si rammenta che viene definito licenziamento discriminatorio quello intimato per ragioni di credo politico o di fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato o dalla partecipazione all’attività sindacale, tra cui è compresa la partecipazione del lavoratore ad uno sciopero, nonché da ragioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull’orientamento sessuale o sule convinzioni personali del lavoratore.
Vediamo ora insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 6987/2018.
Con ricorso al Tribunale di Cagliari del 23.9.2011 la sig.ra … già dipendente della società … s.r.l. con qualifica di cassiera, impugnava il licenziamento intimatole in data 19.11.2008 nell’ambito di una procedura di riduzione del personale ex lege 223/1991.
Il giudice del lavoro, con sentenza del 5.4.2013, accoglieva la domanda.
Con sentenza dell’11 marzo – 12 maggio 2015 la Corte d’appello di Cagliari rigettava l’appello della società … .
La Corte territoriale osservava che, in mancanza di accordo con i sindacati, la società aveva formato una graduatoria dei lavoratori ai fini della individuazione dei destinatari del provvedimento di recesso, attribuendo punteggi diversi ai criteri di scelta legali, senza portare il relativo calcolo applicativo a preventiva conoscenza delle organizzazioni sindacali.
La notevole diversità di punteggio attribuita ai diversi criteri determinava una rilevanza decisiva di quello organizzativo, fondato sulla disponibilità dei lavoratori ad accettare una turnazione per fasce orarie; la prevalenza di un unico criterio, pur in principio compatibile con la previsione dell’articolo 5 comma 1 L. 233/1991, non doveva sottendere intenti elusivi e discriminatori. Nella fattispecie di causa il criterio adottato rispondeva ad un intento discriminatorio nei confronti dei lavoratori che per gravi motivi, personali o familiari, non potevano aderire alla turnazione, come confermato anche dal mantenimento in servizio di coloro che avevano aderito alla turnazione in costanza della procedura – con conseguente riduzione del numero degli esuberi – o dopo il licenziamento.
La società aveva altresì strumentalmente circoscritto la procedura agli addetti al settore cassa, senza prendere in considerazione il personale addetto al reparto vendita, con mansioni fungibili.
Ha proposto ricorso per cassazione della sentenza la società datrice di lavoro che veniva però rigettato dalla Corte Suprema.