La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza 6039 del 2018, ha stabilito il seguente principio di diritto di tema di indennità di servizio estero corrisposta ai dipendenti del Ministero degli Affari Esteri: “in caso di accertato esercizio di mansioni superiori da parte dei dipendenti del Ministero degli Affari Esteri nello svolgimento di servizi effettuati all’estero, l’indennità di servizio estero, di cui all’art. 171 del d.P.R. n. 18 del 1967 in considerazione della sua natura retributiva – può essere eventualmente corrisposta all’interessato, con riferimento al posto corrispondente alle mansioni di fatto esercitate, ma solo previa allegazione e prova da parte del dipendente della sussistenza in concreto – con riguardo alla sede e al posto-funzione che vengono specificamente in considerazione – delle situazioni indicate dai commi 3 e 5 dell’art. 171 cit., tenendo conto che tale indennità, ai sensi dello stesso art. 171, è costituita da un compenso di base (…) e da una parte variabile più cospicua, determinata in ragione delle caratteristiche proprie delle diverse sedi e dei singoli posti-funzione occupati”.
Ed è questo l’argomento trattato altresì dall’articolo pubblicato oggi (14.3.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (firma: A. A. Moramarco; Titolo: “Dipendenti MAE, l’indennità di servizio all’estero non ha natura retributiva”) che di seguito riportiamo.
L’indennità di servizio all’estero prevista per i dipendenti del ministero degli Affari Esteri per lo svolgimento di servizi effettuati all’estero non ha natura retributiva e può essere corrisposta al lavoratore, in caso di accertato esercizio di mansioni superiori, con riferimento al posto corrispondente alle mansioni di fatto esercitate soltanto previa allegazione e prova della sussistenza in concreto dei requisiti previsti dalla speciale normativa. Lo chiarisce la Sezione lavoro della Cassazione con l”ordinanza 6039, depositata ieri.
Il caso – La controversia trae origine dalla richiesta, da parte di una dipendente della Farnesina, del trattamento retributivo spettante per le mansioni effettivamente svolte per circa cinque anni tra il 1998 e 2003, nonché del pagamento, per lo stesso periodo di lavoro, della indennità di servizio all’estero, prevista dalla speciale normativa che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici all’estero. I giudici di merito accoglievano la domanda della lavoratrice e, quanto all’indennità di servizio all’estero, affermavano la sostanziale indifferenza della specialità della disciplina in relazione al principio della giusta retribuzione di cui all’articolo 36 della Costituzione. Il Mae, tuttavia, ricorreva in Cassazione sottolineando l’erronea lettura che Tribunale e Corte d’appello avevano fatto dell’indennità: questa non aveva natura retributiva, bensì risarcitoria e andava determinata «in ragione del posto funzione assegnato e dei coefficienti di rischio e disagio». In sostanza, per il Ministero tale indennità non spettava automaticamente, ma doveva essere provata nel suo specifico ammontare dalla dipendente in relazione all’effettivo ruolo ricoperto.
La decisione – La doglianza del Mae coglie nel segno e spinge i giudici di legittimità a cambiare il verdetto in favore della Farnesina. La Suprema corte spiega, infatti, che la natura non retributiva dell’indennità di servizio estero risulta chiaramente dall’articolo 171 del Dpr 18/1967 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), richiamato anche dall’articolo 45 del Dlgs 165/2001 (Testo unico del pubblico impiego). Tale indennità è destinata a sopperire agli oneri derivanti dal servizio all’estero ed è ad essi commisurata, tenendo conto delle specifiche esigenze di servizio, nonché dei coefficienti di sede fissati dal Ministero sulla base del differente costo della vita, delle particolari condizioni locali e delle necessità di rappresentanza. Pertanto, chiosa il Collegio, «pur non essendo la speciale normativa che regola il rapporto di lavoro svolto all’estero dai dipendenti Mae di per sé impeditiva dell’applicabilità del principio di cui all’articolo 36 Cost., tuttavia tale applicabilità va effettuata tenendo conto che la citata norma costituzionale si riferisce all’adeguatezza della retribuzione». E dunque, in considerazione della natura non retributiva dell’indennità servizio estero, il suo riconoscimento «presuppone che l’interessato alleghi e provi la sussistenza in concreto – con riguardo alla sede e al posto-funzione che vengono specificamente in considerazione – delle situazioni» specifiche indicate dall’articolo 171 del Dpr 18/1967, tenendo conto che la misura del beneficio è composta da una parte fissa e una variabile, quest’ultima determinata proprio in ragione delle caratteristiche delle diverse sedi e dei singoli posti-funzione.