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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 4223 del 2018, è intervenuta in tema di lavoro intermittente stabilendo – dopo un lunghissimo iter giudiziario passato pure per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea – che è legittimo il ricorso al lavoro intermittente e dunque a contratti di lavoro flessibili e temporanei se si tratta di favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e per contrastare la disoccupazione.

Ma vediamo nel dettaglio quanto deciso dalla Cassazione con gli articoli pubblicati oggi (22.2.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: M. Biolchini e E.M. Ceracchi; Titolo: “Legittimo il contratto a chiamata che scade a 25 anni di età”) e dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: G. Piagnerelli; Titolo: “Lavoro intermittente: si al licenziamento dell’over 25 se è previsto dal contratto”) che di seguito riportiamo.

Legittimo il contratto a chiamata che scade a 25 anni di età

Se “il fine giustifica i mezzi” allora quando si tratta di favorire l’ingresso dei più giovani sul mercato del lavoro, anche forme contrattuali flessibili e temporanee devono ritenersi preferibili alla disoccupazione. Così si è espressa la Corte di cassazione, con la sentenza 4223/2018 depositata ieri dopo un iter giudiziario lungo e complesso, iniziato nel 2012 al tribunale di Milano e proseguito in Corte di appello e Cassazione fino a giungere alla Corte di giustizia Ue.
Quest’ultima, con la decisione del caso C-143/16, si è schierata a supporto della legittimità della normativa italiana in materia di contratto di lavoro intermittente, che consente di assumere un lavoratore infraventicinquenne e licenziarlo al compimento del suo 25° anno di età (ossia a fronte del solo raggiungimento di tale limite anagrafico, senza ulteriore motivazione a supporto).
Tale vicenda (si veda, da ultimo, l’articolo su il Sole 24 Ore del 20 luglio 2017) prende le mosse dal potenziale contrasto (rilevato originariamente dalla Corte di appello di Milano nel 2014) tra il divieto di discriminazione in base all’età, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali Ue e dalla direttiva 2000/78 Ce, e la normativa in materia di contratto a chiamata, la cui ratio è evidentemente quella di flessibilizzare le tipologie contrattuali dedicate ai giovani, onde facilitarne l’accesso a una prima occupazione e favorire un successivo inserimento stabile nel mondo del lavoro .
La Suprema corte ha ritenuto di aderire a quanto già sancito dai giudici europei, e cioè che la disciplina del contratto di lavoro intermittente, nel consentire il licenziamento al sopraggiungere del limite di età, è compatibile con il divieto di discriminazione per ragioni anagrafiche, in quanto persegue, in modo proporzionato e adeguato, la necessità di fronteggiare una perdurante situazione di diffusa disoccupazione giovanile.

In particolare, nel caso esaminato è stato ritenuto ragionevole e compatibile con il divieto di discriminazione per età il “sacrificio” imposto ai lavoratori più giovani mediante l’assunzione “a chiamata” (rispetto a quella ordinaria, a tempo determinato o indeterminato), in quanto coerente alla finalità perseguita da politiche sociali e dell’occupazione dirette, in definitiva, a tutelare tale fascia di popolazione.
La Cassazione, espandendo i principi esposti dalla Corte di giustizia, sviluppa inoltre il proprio ragionamento con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, in quanto anche il principio di parità di trattamento ivi sancito ammette deroghe giustificate da finalità sociali. Non vi sono pertanto, secondo la Suprema corte, ragioni che inducano a sollevare questioni di legittimità costituzionale con riguardo al principio di eguaglianza.

Lavoro intermittente: si al licenziamento dell’over 25 se è previsto dal contratto

Il ricorso al contratto di lavoro intermittente deve consentire al datore di poter licenziare il dipendente per assumerne altri. Si tratta di una modalità, quindi, non tanto per stabilizzare il lavoratore quanto cercare di far fare esperienza ai giovani, in particolare agli under 25. A chiarirlo la Cassazione con la sentenza n. 4223 del 2018.

La vicenda – La Corte si è trovata alle prese con un soggetto che, assunto con un contratto di lavoro intermittente a tempo determinato era stato licenziato in funzione del raggiungimento del 25esimo anno di età. La Corte d’appello aveva ritenuto che il licenziamento fosse stato illegittimo ritenendo che si trattasse a tutti gli effetti di un lavoro subordinato a tempo indeterminato e che il comportamento avuto dal datore fosse stato discriminatorio. Contro la sentenza ha proposto ricorso la società evidenziando fondamentalmente come l’articolo 34, comma 2, del Dlgs 276/2003, che per l’appunto consente l’assunzione di giovani under 25 e il loro licenziamento una volta conseguita quell’età, fosse in linea con la Direttiva 2000/78/Ce in quanto la ratio della norma era proprio quella di favorire i lavoratori in funzione della loro età, senza alcun margine interpretativo. Ora – si legge nella sentenza – l’articolo 6 della richiamata direttiva Ue dispone che una disparità di trattamento in base all’età non rappresenti discriminazione laddove essa sia oggettivamente e ragionevolmente giustificata, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Il richiamo alla Corte Ue – Sul punto i Supremi giudici rilevano come già la Corte di giustizia con la sentenza del 19 luglio 2017 (C-143/2016) riteneva che «l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché l’articolo 2, paragrafo 1, l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/Ce del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione, quale quella di cui si sta parlando (ndr articolo 34 del Dlgs 276/2003) che autorizza un datore di lavori a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, giacchè tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari».

Conclusioni – In definitiva la norma è legittima proprio perché consente una maggiore rotazione dei giovani sotto i 25 anni. In caso, invece di stabilizzazione del rapporto (come disposto dal giudice d’appello) – precisa la Cassazione – il rischio sarebbe quello di stabilizzare sì alcune posizioni, ma di lasciare a casa tanti disoccupati pur avendo il requisito dell’età. E allora il contratto di lavoro intermittente va considerato più come metodo per fare apprendistato e avvicinarsi gradualmente al mondo del lavoro piuttosto che un contratto meritevole di tutela al pari di un rapporto di lavoro subordinato.

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