La Corte di Cassazione, con la sentenza 2774 del 2018, in riforma della sentenza della Corte di Appello di Milano, ha dichiarato che ai fini della prova del contratto a tempo determinato non è sufficiente la consegna al lavoratore del contratto sottoscritto dal solo datore di lavoro poiché la consegna “non è suscettibile di esprimere inequivocabilmente una accettazione della natura limitata del rapporto, ma, plausibilmente, la semplice volontà del lavoratore di essere parte di un contratto di lavoro”.
Vediamo nel dettaglio la vicenda all’esame della Corte Suprema, con l’articolo pubblicato oggi (6.2.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: A. Zambelli; Titolo: “Il contratto a termine deve essere firmato dal dipendente” che di seguito riportiamo.
La Corte d’appello di Milano ha dichiarato valido il contratto di lavoro a termine intercorso tra un dipendente e il datore di lavoro «pur se consegnato al lavoratore con la sola sottoscrizione del datore; ciò sul rilievo che il lavoratore, reso edotto, nel corso di apposita riunione, del vincolo di durata della rapporto di lavoro, aveva accettato le condizioni illustrate dal datore medesimo, per come dimostrato dall’avvenuto svolgimento di attività lavorativa dal giorno successivo alla predetta riunione». La Cassazione (sentenza 2774/2018 depositata ieri) ha riformato tale sentenza.
Per comprendere la decisione della Cassazione è necessario ricordare che l’apposizione di un termine finale al contratto di lavoro «è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto» antecedente o contestuale all’inizio del rapporto.
Tale previsione, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza, «tende a realizzare un incremento del livello di forma del contratto che è strettamente funzionale alla qualità soggettiva del contraente prestatore di lavoro, il quale deve essere posto in grado di percepire con certezza quale sia la reale natura del rapporto e di controllare la effettiva sussistenza delle ragioni poste a base della sua instaurazione» (Cassazione 4418/2016).
Ebbene, principio generale è che quando la forma scritta è richiesta per la validità dell’atto, l’esistenza di un contratto è insuscettibile di essere provata con mezzi diversi dall’esibizione del documento scritto.
Con riferimento, quindi, al caso di specifico, la Cassazione conclude affermando che, ai fini della prova del contratto a termine, non è «sufficiente la consegna al predetto lavoratore del documento sottoscritto dal solo datore, poiché la consegna in questione – benché seguita dall’espletamento di attività lavorativa – non è suscettibile di esprimere inequivocabilmente una accettazione (peraltro irrilevante ove manifestata per fatti concludenti) della natura limitata del rapporto, ma, plausibilmente, la semplice volontà del lavoratore di essere parte di un contratto di lavoro».