La Corte di Cassazione, con la sentenza 1377 del 2018, ha dichiarato sproporzionato il licenziamento disciplinare irrogato ad un dipendente per avere utilizzato l’ auto aziendale, non per ragioni di servizio ma per effettuare il tragitto casa – lavoro e in pausa pranzo.
Ed è questo il tema trattato dall’articolo pubblicato oggi (31.1.2018) dal Sole 24 Ore (firma: M. Biolchini e C. Brevi; Titolo: “Niente licenziamento per utilizzo privato dell’ auto aziendale”) che di seguito riportiamo.
Non è proporzionale il licenziamento disciplinare del dipendente che sistematicamente utilizza l’autovettura aziendale, assegnatagli formalmente solo per ragioni di servizio, per compiere il tragitto tra l’ufficio e la propria abitazione nonché in pausa pranzo. In tal senso si è pronunciata la Cassazione con la sentenza 1377/2018.
Presentando ricorso alla Suprema corte il datore di lavoro ha insistito sulla erronea interpretazione della nozione di “giusta causa”: a suo dire, il giudizio di gravità idoneo a giustificare un licenziamento in tronco deve tenere conto anche della reiterazione delle condotte e della consapevolezza dell’obbligo di utilizzare la vettura solo per fini aziendali, prescindendo dalla sussistenza di un intento fraudolento, così come dal verificarsi di un concreto pregiudizio economico per l’azienda, elementi fattuali che non erano stati debitamente presi in considerazione nei precedenti gradi di giudizio.
La Cassazione, dopo aver ribadito il proprio costante orientamento per cui la valutazione sulla giusta causa di licenziamento deve riguardare non solo la gravità dei fatti addebitati e l’intensità del profilo soggettivo, ma anche la proporzionalità degli stessi rispetto alla sanzione inflitta, concentra la sua analisi unicamente su questo secondo profilo.
Viene, infatti, chiarito che il concetto ampio e generico di utilizzo aziendale dell’autovettura elaborato dai giudici del merito nel caso specifico non serve a scriminare la condotta posta in essere dal dipendente (che, pertanto, rimane illecita), ma semplicemente a connotare in termini di minore gravità il comportamento a quest’ultimo contestato. Tale circostanza, unita alla ridotta intensità dell’elemento soggettivo e all’assenza di conseguenze negative in capo alla società, permette di confermare la mancanza di proporzionalità della condotta rispetto alla sanzione del licenziamento, con conseguente obbligo di reintegra in capo al datore di lavoro.
Il corretto utilizzo dell’autovettura concessa in uso per soli motivi di servizio è, tuttavia, una tematica poco discussa in sede giurisdizionale.
In un caso analogo, anche il tribunale di Milano (sentenza 5081/2010) era giunto a ritenere sproporzionato il licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore che, mai prima destinatario di procedimenti disciplinari, in due occasioni aveva utilizzato l’auto di servizio per motivi meramente personali. Il giudicante, infatti, pur ammettendo che sotto il profilo prettamente oggettivo tali episodi costituivano uso indebito di un bene aziendale, aveva ritenuto che da un punto di vista soggettivo non fossero ravvisabili i caratteri di dolo e malafede necessari a giustificare una risoluzione in tronco del rapporto.
Appare quindi evidente come in entrambe le decisioni venga affermata l’illegittimità del comportamento del dipendente, seppur non tale da giustificare la massima sanzione prevista dal nostro ordinamento; è ragionevole ritenere, tuttavia, che una tale condotta possa essere utilmente sanzionata dal datore quantomeno con una ammonizione scritta.