La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 1922 del 2018, ha stabilito che è sproporzionato e dunque illegittimo il licenziamento della dipendente che si è assentata dal lavoro per 20 giorni per assistere la figlia caduta in una gravissima depressione post partum, senza fornire spiegazioni all’azienda.
E vediamo nel dettaglio la decisione della Corte Suprema, con l’articolo pubblicato oggi (26.1.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: F. Machina Grifeo; Titolo: “No al licenziamento di chi si assenta senza congedo per assistere la figlia”) che di seguito riportiamo.
È illegittimo perché sproporzionato il licenziamento della dipendente assentatasi per 20 giorni dal lavoro senza fornire alcuna spiegazione all’azienda, se lo ha fatto per assistere la figlia caduta in una grave depressione post partum. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza del 25 gennaio 2018 n. 1922, accogliendo il ricorso della lavoratrice.
Per la Corte di appello di L’Aquila invece la violazione della disciplina posta dalla legge e dal contratto collettivo in materia di congedo per gravi motivi familiari non era meramente formale e, pertanto, il mancato inoltro all’azienda della richiesta di fruizione del congedo era «di gravità tale da legittimare la sanzione espulsiva». Proposto ricorso, la dipendente, tra l’altro, ha sostenuto lo scostamento dai criteri legali di valutazione della giusta causa sotto il profilo della proporzionalità tra mancanza addebitata e sanzione irrogata.
Un motivo accolto dalla Suprema corte. Per i giudici di legittimità, infatti, la Corte territoriale, nel motivare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, «attribuisce rilievo esclusivo all’inosservanza delle forme previste per conseguire l’autorizzazione alla fruizione del congedo, prescindendo del tutto dalla considerazione dell’effettività e dell’urgenza delle ragioni dell’assenza (che certo non può esaurirsi nel rilievo circa l’ordinarietà dell’evento parto, quando, invece, l’esigenza invocata era data dall’assistenza alla figlia affetta da una depressione post partum definita grave)». Tali ragioni, prosegue la decisione, al contrario, sono «destinate ad incidere sulla valutazione della consistenza oggettiva e della qualificazione soggettiva della condotta inadempiente, individuati dalla giurisprudenza quali criteri fondamentali per la formulazione del giudizio di proporzionalità». Per cui, conclude, «lo stesso si rivela carente e tale da fondare la denunciata violazione degli indicati parametri normativi».