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Scarso rendimento, per licenziare bisogna provare la negligenza del lavoratore: 

La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 26676 del 2017, ha precisato che è legittimo il licenziamento per scarso rendimento solo se il datore di lavoro riesce a provare la negligenza del lavoratore nello svolgimento delle mansioni.

A chiarirci la questione di cui si è occupata la Cassazione con le sentenza 26676/2017 è anche l’articolo pubblicato oggi (23.11.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Per lo scarso rendimento va provata la negligenza”) che di seguito riportiamo.

In un rapporto di lavoro nel quale assume rilievo anche il risultato della prestazione, in termini di quantitativo minimo di contratti conclusi o di vendite realizzate, la legittimità del licenziamento per scarso rendimento presuppone che il datore di lavoro dimostri non solo il rilevante scostamento dai risultati attesi, ma anche che la causa dello scarso rendimento è direttamente riconducibile ad un’evidente negligenza del lavoratore nell’esercizio delle mansioni.
La Corte di cassazione (sentenza n. 26676, depositata il 10 novembre 2017) riconduce l’evento dello scarso rendimento nell’alveo dei licenziamenti di natura disciplinare, precisando che è necessario effettuare una valutazione complessiva delle prestazioni rese dal dipendente e, quindi, una comparazione con le prestazioni rese dai colleghi preposti alle stesse mansioni con riferimento al medesimo contesto professionale, nell’arco di un identico intervallo temporale. In altri termini, ad avviso dei giudici di legittimità, lo scarso rendimento può costituire giusta causa di licenziamento solo nel caso in cui la violazione del dovere di diligenza che incombe su ogni lavoratore dipendente sia direttamente collegata ad un’enorme sproporzione tra gli obiettivi assegnati aziendalmente in un dato periodo di riferimento e i risultati conseguiti dal dipendente licenziato. Il tutto, nell’ambito di un complessivo confronto tra la media delle prestazioni realizzate dai dipendenti comparabili in un predefinito periodo di tempo e quelle molto più insoddisfacenti riconducibili al lavoratore sottoposto ad azione disciplinare e, quindi, estromesso per scarso rendimento.
Da questa fattispecie, precisa la Corte, esula il caso in cui l’inadeguatezza della prestazione e, quindi, lo scarso rendimento registrato a carico del lavoratore siano imputabili, almeno in parte, all’organizzazione del lavoro dell’impresa o a fattori socio-ambientali.
Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione era relativo al dipendente di un’impresa rivenditrice di automobili, la quale aveva assegnato al lavoratore il ruolo di responsabile per la vendita di flotte aziendali di autovetture e, in seguito, lo aveva licenziato sul presupposto di un quantitativo di vendite assolutamente insufficiente rispetto alle capacità aziendali. In primo e in secondo grado, il licenziamento era stato annullato sul rilievo, tra l’altro, che gli obiettivi fissati per le vendite delle flotte aziendali si ponevano come elemento di novità, in assenza di statistiche prospettiche e di strategie commerciali “di attacco”, non risultando possibile, in questo modo, effettuare una effettiva comparazione sui risultati del dipendente licenziato rispetto alle prestazioni complessivamente realizzate in ambito aziendale.
La Cassazione, nel confermare la decisione resa in appello, ribadisce che a presidio del licenziamento per scarso rendimento si devono porre, da un lato, la rigorosa dimostrazione del mancato raggiungimento dei risultati attesi in rapporto alla normale capacità produttiva resa dalla maggioranza dei lavoratori e, d’altro lato, la effettiva riconducibilità dello scarso rendimento al negligente espletamento della prestazione lavorativa.

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