Rischi professionali, l’assicurazione copre anche i danni provocati dai collaboratori:
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22339 del 2017, ha stabilito che l’assicurazione rischi professionali deve coprire i danni causati dai collaboratori dello studio anche se il professionista non fa il nome del dipendente che ha sbagliato.
E di assicurazione rischi professionali di cui alla vicenda trattata dalla sentenza 22339/2017 ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (27.9.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Patrizia Macciocchi; Titolo: “Professionisti con polizza ampia”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
L’assicurazione deve coprire i danni causati a terzi dal commercialista sia quando sono stati causati direttamente da lui sia quando sono imputabili al professionista indirettamente, per carenze organizzative o diligenza del suo studio. La Corte di cassazione, con la sentenza 22339, accoglie il ricorso di un ragioniere condannato dalla Corte d’appello a risarcire 26 mila euro a una società cliente per aver smarrito o non ricevuto, delle raccomandate che contenevano una cessione del credito.
La società, all’oscuro dell’avvenuta cessione, aveva pagato il suo debito al creditore originario ed era stata poi costretta a rinnovarlo alla banca cessionaria. Un doppio esborso che aveva dato il via alla richiesta dei danni al ragioniere il quale, dal canto suo, aveva chiamato in causa l’assicurazione che lo copriva per la responsabilità professionale.
La domanda della società era stata respinta in primo grado ma accolta in appello.
Per i giudici di seconda istanza erano fondate le ragioni della compagnia assicuratrice che “accusava” il commercialista di non avergli fornito il nominativo del diretto responsabile del “disguido”, impedendogli così di rivalersi su di lui e di fatto rendendo inoperativa la polizza.
Secondo il ragioniere però la Corte d’appello aveva sbagliato nel considerare la copertura non attiva. Il ragioniere aveva ammesso la sua mancanza di diligenza e non aveva negato il danno.
Per la difesa la polizza garantiva il commercialista contro i suoi errori e anche contro gli atti commessi con dolo dai suoi dipendenti e contro le azioni compiute dai collaboratori purché indicati in polizza. Per la Corte d’Appello però proprio questo era il problema: non avendo il ricorrente fatto il nome di chi, all’interno dello studio, aveva “sbagliato” aveva reso impossibile verificare se il difetto di diligenza fosse imputabile a un soggetto coperto dalla garanzia assicurativa.
Da parte sua, il commercialista non aveva puntato il dito contro nessuno e si era assunto la responsabilità del fatto, perchè all’epoca non aveva collaboratori fissi e stava ristrutturando lo studio, dove di certo erano indirizzate le raccomandate inviate al cliente. Questo bastava, secondo la difesa, per far scattare la copertura per i danni connessi all’esercizio della sua attività.
Secondo la Cassazione, il professionista ha ragione.
Quello che importa ai fini dell’operatività della polizza è che il comportamento rientri nell’ambito dell’attività individuata come risarcibile. Il presupposto è che il danno «sia stato causato dal professionista direttamente attraverso l’attività professionale carente, o indirettamente per carenze organizzative o di diligenza del proprio studio del quale egli indirettamente risponde». Se questi requisiti sono rispettati, come nel caso esaminato, il professionista non è tenuto a indicare all’assicuratore l’effettivo materiale responsabile dell’attività dannosa che potrebbe non essere in grado di indicare con certezza. Un obbligo che non c’è neppure quando, come nello specifico, esista una previsione contrattuale che estenda la copertura, oltre ai danni provocati direttamente dal titolare, anche a quelli prodotti da altri dipendenti. Una previsione che – spiega la Cassazione – ha lo scopo di ampliare il numero dei soggetti per le cui azioni può rispondere l’assicurazione e non a limitarlo ai soli casi di precisa indicazione dei responsabili dell’atto che ha provocato dei danni a terzi.