Risoluzione incentivata, a carico del lavoratore le imposte:
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 3636 del 2017 ha stabilito che in caso risoluzione incentivata del rapporto di lavoro con la previsione di somme nette per il lavoratore, quest’ultimo sarà tenuto a versare autonomamente le relative imposte.
E di risoluzione incentivata del rapporto di lavoro, alla luce della sentenza 3636/2017 del Tribunale di Roma, ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (7.6.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Olimpio Stucchi; Titolo: “Incentivi all’esodo, imposte a carico del lavoratore”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
In una recentissima sentenza, il Tribunale di Roma si è occupato di un tema d’interesse generale per le aziende, relativo all’ipotesi di risoluzione incentivata del rapporto di lavoro con pattuizione di somme nette per il lavoratore, sulle quali però, a distanza di anni, l’Erario aveva ricalcolato in aumento le imposte dovute.
La vicenda decisa il 13 aprile 2017 ha riguardato il caso di un dipendente che, in sede protetta, aveva risolto consensualmente il rapporto di lavoro a fronte della pattuizione di una pluralità di somme al netto delle ritenute fiscali, poi corrisposte in busta paga unitamente al Tfr.
Alcuni anni dopo, le Entrate informavano l’ex dipendente che le somme percepite, e già tassate alla fonte dall’ex datore di lavoro, dovevano essere assoggettate ad una diversa e più alta aliquota. Per tale motivo, l’Agenzia chiedeva all’ex dipendente di pagare un certo importo quale differenza tra le imposte già versate e quelle effettivamente dovute all’Erario.Il lavoratore decideva, a quel punto, di far causa all’ex datore di lavoro, chiedendone la condanna al pagamento della differenza pari alle maggiori imposte pagate alle Entrate.
Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda dell’ex dipendente osservando che, rispetto alla erogazione di somme che costituiscono reddito da lavoro dipendente, il lavoratore è il solo soggetto titolare del debito tributario, mentre il datore di lavoro è solamente un sostituto di imposta, tenuto ad effettuare le trattenute fiscali sui medesimi importi, eventualmente in acconto sul maggior dovuto.
Secondo i giudici, nel caso di Tfr e di importi corrisposti in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, a fronte di una pattuizione che preveda il pagamento di somme nette, il datore agisce correttamente ogni qual volta proceda alla “lordizzazione” degli importi convenuti, applicando in busta paga le aliquote di tassazione coerenti e corrette rispetto al momento di applicazione del carico fiscale.
Nel caso specifico del Tfr o delle altre indennità soggette a tassazione separata, ai sensi degli articoli 17 e 19 del Tuir, il datore di lavoro, all’atto del pagamento, effettua la ritenuta calcolando l’aliquota media corrispondente al reddito di riferimento noto in quel momento.
Successivamente, gli uffici finanziari possono procedere a riliquidare le imposte su tali somme in base ai redditi complessivi risultanti dalle dichiarazioni del singolo, relativamente ai cinque anni precedenti a quello di percezione: se poi dalla riliquidazione deriva una maggior imposta, questa è iscritta a ruolo a carico del lavoratore-contribuente, mentre nel caso contrario viene rimborsata.
Il Tribunale di Roma ha correttamente evidenziato che il sostituto d’imposta è tenuto a versare le sole imposte determinate all’atto della cessazione del rapporto secondo l’aliquota provvisoria, nulla dovendo versare in caso di riliquidazione da parte dell’amministrazione finanziaria.
E ciò anche alla luce di quell’orientamento giurisprudenziale al quale la sentenza ha aderito, che ritiene nulli eventuali accordi che prevedano il trasferimento dell’onere tributario in capo al datore di lavoro, restando il lavoratore l’unico debitore dell’obbligo tributario all’esito del ricalcolo da parte delle Entrate.