Ballerini, alla Corte UE i requisiti per la pensione e parità di trattamento:
La norma transitoria in vigore nel 2010-2012 è stata sottoposta dai giudici della Cassazione alla Corte UE poiché discriminatoria in quanto viola il principio di parità di trattamento in materia di occupazione e impiego dei ballerini, in particolare alcune ballerine e tersicoree nel 2014 erano state licenziate per raggiunti limiti di età (47 anni) nel teatro in cui lavoravano (v. ordinanza interlocutoria n. 6101 del 2017).
E di tale questione si occupa anche l’articolo pubblicato oggi (10.3.2017) dal Sole 24 Ore (Firma: Matteo Prioschi; Titolo: “Alla Corte UE i requisiti per la pensione dei ballerini”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
In pensione presto, ma non troppo, e soprattutto non obbligatoriamente cinque anni prima degli uomini. Perché in tal caso viene meno il principio di parità di trattamento tra uomo e donna in materia di occupazione e di impiego.
Questa la posizione di alcune ballerine e tersicoree che nel 2014 sono state licenziate per raggiunti limiti di età, 47 anni, dal teatro presso cui lavoravano, mentre loro avrebbero voluto proseguire l’attività.
Ma se qualcuno già sta pensando di fare carte false per andare in pensione a 47 anni, sappia che oggi per ballerini e tersicorei sono sufficienti 45 anni, indipendentemente dal fatto che siano uomini o donne.
Fino al 30 aprile 2010, però, la situazione era diversa, in quanto, per effetto del decreto legislativo 182/1997, alle donne erano richiesti almeno 47 anni e agli uomini 52 anni. Poi, con il decreto legge 64/2010, dal 1° maggio 2010 il requisito è stato unificato e portato a 45 anni. Al contempo, per agevolare gli artisti che già avevano raggiunto o superato la nuova soglia di pensionamento, è stato introdotto un periodo transitorio di due anni in cui, a fronte di esplicita richiesta, avrebbero potuto prolungare l’attività, pur senza superare i limiti precedenti, cioè 47 e 52 anni. Le lavoratrici sono state licenziate nonostante avessero esercitato l’opzione per rimanere in servizio.
Le lavoratrici, dopo aver percorso con esiti alterni tutti i gradi di giudizio contro il licenziamento, si sono rivolte alla Cassazione sostenendo che la norma discrimina tra i sessi.
E la Suprema corte, con un’ordinanza interlocutoria (6101/2017) ha ritenuto di sollevare questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea sull’interpretazione del principio di non discriminazione in base al sesso, come espresso dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché dalla direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio il cui scopo è «assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego».
La pregiudiziale non riguarda la differenza di requisiti che è rimasta in vigore dal 1997 al 2010, ma solo l’articolo 3, comma 7 del Dl 64/2010 che ha prolungato tale disallineamento per due anni.
Vale forse la pena di ricordare che la stessa Corte di giustizia Ue, con una sentenza del 13 novembre 2008, aveva condannato i requisiti differenziati (60 e 65 anni) allora previsti per il pensionamento dei dipendenti pubblici donne e uomini, decisione da cui era poi derivata la decisione del governo italiano di parificare i requisiti minimi.