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Censura per gli avvocati che non fanno formazione

Censura per gli avvocati che non fanno formazione

Censura per gli avvocati che non fanno formazione:

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 24739 del 2016, è intervenuta in argomento censura nei confronti dell’avvocato che adempie all’obbligo di formazione, come previsto dal codice deontologico.

E a parlarci di censura alla luce della sentenza 24739/2016 è anche l’articolo pubblicato oggi (6.12.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Patrizia Maciocchi; Titolo: “Avvocati, censura per chi non fa formazione”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

Rischia la censura l’avvocato che non assolve all’obbligo della formazione previsto dal codice deontologico. La Corte di cassazione, con la sentenza 24739 depositata ieri, respinge il ricorso del legale che chiedeva di essere rimesso nei termini per fare opposizione contro il provvedimento disciplinare, con il quale il consiglio dell’Ordine territoriale lo aveva “punito” con la censura perché non aveva totalizzato il numero di crediti formativi previsti dal regolamento del Consiglio nazionale forense in vigore dal 1° gennaio 2015 ( n. 6 del 16 luglio 2014) che attua l’articolo 11 del nuovo ordinamento forense (legge 247/2012).

Secondo l’incolpato, la sanzione gli avrebbe precluso la possibilità di esercitare l’attività di difensore d’ufficio: unica sua fonte di reddito. Sarebbero state proprio le difficoltà economiche, affermava il legale, a impedirgli di fare un ricorso tempestivo. Per il Consiglio nazionale forense, il ricorso tardivo non poteva essere giustificato dalla precaria situazione economica comunque non idonea a far scattare l’impedimento assoluto che avrebbe aperto la strada alla remissione in termini. Una posizione in linea con il verdetto del Supremo collegio.

La Cassazione in prima battuta chiarisce all’incolpato che il ricorso doveva essere proposto solo contro il Consiglio dell’ordine e non anche contro il Consiglio nazionale forense, che nel giudizio aveva assunto solo la veste di giudice e non di parte.

Sottolineato l’errore del legale, la Cassazione, esamina solo i motivi contro l’ordine territoriale e li rigetta. Per le Sezioni unite le precarie condizioni reddituali non sono una buona ragione per impugnare con ritardo, soprattutto quando, come nel caso esaminato, non vengono precisate le ragioni per cui le difficoltà economiche avrebbero impedito una tempestiva impugnazione.

I giudici confermano la sanzione della censura. Una decisione che rientra nella discrezionalità dell’organo di disciplina che può arrivare a “punire” la violazione degli obblighi di formazione anche con la radiazione dall’albo.

 

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