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Giusta causa di licenziamento dirigente per assegnazione appalto:

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 21978 del 2016, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un dirigente che non si era astenuto dal partecipare ad una commissione aggiudicatrice di appalto poiché alla gara aveva partecipato una impresa nella cui compagine sociale era presente un suo parente.

Tale argomento viene affrontato anche dall’articolo pubblicato oggi (9.11.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci, Titolo: “In commissione per giudicare un parente? È giusta causa”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

I dirigenti di società private devono astenersi dal partecipare alle commissioni aggiudicatrici degli appalti, nel caso in cui alle gare partecipino, tra le altre, imprese che hanno nella loro compagine un loro parente. In caso contrario è legittimo il licenziamento per giusta causa, come deciso dalla Corte di cassazione con la sentenza 21978/2016.

Nel pervenire a questa conclusione la Cassazione ripercorre il proprio insegnamento sul contenuto della giusta causa di licenziamento, che è compiutamente determinata non solo in riferimento a specifiche disposizioni normative, ma anche avendo riguardo a clausole generali, quali la correttezza, la buona fede, l’obbligo di fedeltà e lealtà. Il contenuto elastico e indeterminato della nozione di giusta causa richiede, alla luce di tali parametri, di essere integrato dall’interprete attraverso giudizi di valore e valutazioni che si possono desumere, a seconda delle circostanze, dalla coscienza sociale, dal costume o da regole proprie di determinati ambiti sociali o professionali.

Facendo applicazione di queste regole, nel caso specifico la Corte di cassazione ha condiviso le conclusioni raggiunte dalla Corte di appello di Roma, la quale, riformando la sentenza resa dal tribunale in primo grado, ha ritenuto sussistente la giusta causa del licenziamento per aver un dirigente del servizio radiotelevisivo italiano intrattenuto rapporti commerciali con una società terza di cui era direttore commerciale il proprio cognato.

A nulla è valsa la tesi del dirigente, per cui non esisteva una specifica norma regolamentare interna che vietasse ai funzionari delle società del gruppo di utilizzare fornitori esterni in cui fossero presenti i propri parenti. Né è stata apprezzata la circostanza che altri dipendenti in analoga posizione sono stati sanzionati unicamente con un provvedimento conservativo.

A escludere che tali argomentazioni possano riflettersi sulla giusta causa del licenziamento intimato al dirigente soccorre, ad avviso della Suprema corte, il rilievo per cui costituisce nozione di comune esperienza che un dirigente non possa legittimamente intrattenere rapporti di tipo commerciale con un’impresa che aveva, giustappunto, come direttore commerciale il proprio cognato. Tale conclusione risulta confermata, secondo la Cassazione, dal rilievo per cui il dirigente aveva un ruolo apicale nella compagine aziendale e, in quanto tale, non poteva invocare la mancanza di un espresso divieto regolamentare allo scopo di ridimensionare la gravità del proprio comportamento.

Rimarca la Corte di cassazione, infine, che la legittimità del licenziamento risulta confermata dal fatto che a tutti i dipendenti, ivi compresi i vertici aziendali, è stato distribuito il codice etico, con le linee guida per la stipulazione, tra l’altro, dei contratti con i fornitori.

Alla luce di queste argomentazioni, la Cassazione ha confermato che integra giusta causa di licenziamento il comportamento del dirigente apicale che non si sia astenuto dal partecipare alla commissione aggiudicatrice di un appalto, alla cui gara abbia partecipato la società di cui il cognato era direttore commerciale.

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