Rifiuto di lavorare in un giorno di festa e incidenza sulla retribuzione:
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21209 del 2016 è intervenuta in tema di rifiuto dei dipendenti di lavorare in un giorno festivo, stabilendo il seguente principio: “… il diritto del lavoratore di astenersi dall’attività lavorativa in caso di festività è pieno ed ha carattere generale e quindi non rilevano le ragioni che hanno determinato l’assenza di prestazione, peraltro stabilita dalla legge. Il trattamento economico ordinario deriva … direttamente dalla legge e non possono su questo piano aver alcun rilievo le disposizioni contrattuali, la cui legittimità non rientra nel thema decidendum della presente controversia, che potrebbero avere, al più, un rilievo disciplinare”. Pertanto, il rifiuto di prestare lavoro in un giorno festivo non avrà incidenza sulla normale retribuzione.
E di rifiuto di lavorare di cui alla sentenza n. 21209 del 2016 ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (20.10.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Il rifiuto a lavorare in un giorno festivo non incide sulla paga”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Il rifiuto dei dipendenti di prestare servizio in una giornata festiva non può esimere il datore di lavoro dal versamento della normale retribuzione, neppure in presenza di una disposizione del contratto collettivo a norma della quale il lavoratore non può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro festivo. La Cassazione, con sentenza 21209/2016, ha precisato che il diritto del dipendente di astenersi dall’attività lavorativa in presenza di determinate festività discende direttamente dalla legge e ha carattere generale, ragion per cui il relativo trattamento retributivo non può essere messo in discussione da una disposizione, eventualmente anche di segno contrario, della contrattazione collettiva.
Nel caso esaminato dalla Suprema corte, una impresa del settore metallurgico aveva precettato al lavoro un gruppo di operai in coincidenza con la festività dell’8 dicembre, ma i dipendenti si erano rifiutati di dar seguito alla disposizione aziendale e avevano osservato il giorno di riposo. La società aveva deciso di trattenere dalla busta paga dei lavoratori la retribuzione relativa alla festività dell’8 dicembre non lavorata, sul presupposto di una disposizione del contratto collettivo per cui «nessun lavoratore può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo». I lavoratori agivano in giudizio per ottenere il pagamento della retribuzione relativa alla festività. Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, confermata anche in appello.
La società ricorreva per Cassazione, affermando che ai lavoratori non spettasse la retribuzione della giornata festiva in quanto essi si erano indebitamente rifiutati, in contrasto con la previsione del contratto collettivo, di prestare servizio e in tal modo avevano paralizzato il proprio diritto al pagamento della prestazione salariale.
La Corte di cassazione respinge questa tesi e osserva che il trattamento retributivo ordinario relativo alle giornate di festività, quali l’8 dicembre, deriva direttamente da una disposizione di legge (articolo 2, legge 260/1949, nel testo sostituito dalla legge 90/1954) e non può essere vanificato da una disposizione contrattuale collettiva.
Il rifiuto dei lavoratori alla richiesta datoriale di prestare serviziol’8 dicembre, prosegue la Corte, avrebbe potuto legittimare il datore di lavoro, alla luce del contratto collettivo, ad avviare un’azione disciplinare, ma non può, invece, incidere sul diritto al trattamento retributivo ordinario.
Per la Cassazione, poiché la retribuzione della festività non lavorata discende da una previsione di legge, ai lavoratori compete il relativo trattamento economico anche se si sono rifiutati di adempiere a un ordine di servizio. Il datore di lavoro non può, dunque, omettere il versamento della retribuzione anche se il contratto collettivo prevede che il rifiuto del lavoratore di svolgere l’attività nella giornata festiva deve essere corroborato da un giustificato motivo.