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Pensionamento forzato pubblico dipendente prima dei 65 anni:

La Cassazione, con la sentenza-n-18099-del-2016 in tema di pensionamento forzato prima dei 65 anni di età, ha stabilito che resta in servizio il pubblico dipendente che possiede l’anzianità massima contributiva di 40 anni, ma che non ha ancora raggiunto l’età pensionabile, in mancanza di una adeguata motivazione di tale decisione da parte della Pubblica Amministrazione.

L’Amministrazione Pubblica, in applicazione dell’art. 72, comma 11, del D.L. n. 112/2009, convertito, con modificazioni, dalla L.n. 133/2008, può risolvere il rapporto di lavoro dei propri dipendenti al raggiungimento, da parte degli stessi, dell’anzianità massima contributiva di 40 anni (40 anni e mesi 1) e prima del compimento di 65 anni di età.

Nel corso del tempo il testo dell’art. 72, comma 11 cit. veniva più volte e da ultimo, la L.n. 114/2014, ha stabilito che: Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni … possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento … risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale.

Quindi ad avviso della Corte Suprema, come si legge nella sentenza n. 18099/2016, la facoltà delle pubbliche amministrazioni di risolvere il rapporto di impiego sul presupposto del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni è condizionato, in generale (ossia in tutti i comparti), alla previa adozione di un atto generale di organizzazione interna che ponga i criteri applicativi per l’esercizio di tale facoltà. Pertanto il carattere facoltativo della risoluzione del rapporto di lavoro in ragione dell’anzianità necessita, per non tradursi in discriminazione, di un percorso valutativo che garantisca la legittima finalizzazione dell’interesse pubblico dell’Amministrazione ad una più efficace ed efficiente organizzazione, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e dei criteri di imparzialità e trasparenza: ciò costituendo garanzia dei diritti dei lavoratori, del buon andamento dell’amministrazione e del generale interesse al corretto esercizio dell’azione pubblica, in un ragionevole bilanciamento dei diversi interessi costituzionalmente protetti che vengono in rilievo. E la Corte conclude affermando che le ragioni della risoluzione non possono pertanto rinvenirsi nel solo raggiungimento dell’anzianità contributiva in questione.

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A tale stregua, dunque, il pubblico dipendente che voglia rimanere in servizio pur avendo maturato l’anzianità massima contributiva di 40 anni, può pretendere dall’amministrazione idonea motivazione, sulla quale poi poter esercitare un controllo di legalità circa l’appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita dall’ente datore di lavoro.

Tra l’altro i pubblici dipendenti, a differenza dei casi ordinari di recesso, pur avendo un contratto di matrice privatistica, possono esigere che il datore di lavoro pubblico rispetti anche i principi di legalità, imparzialità e buon andamento.

 

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