Precari PA, solo il risarcimento e non l’assunzione a tempo indeterminato:
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16226 del 2016 sui precari della pubblica amministrazione, ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno a chi ha lavorato per più anni con contratti a termine, ma non l’assunzione a tempo indeterminato.
L’entità del risarcimento riconosciuta va da un minimo di 2,5 a 12 mensilità dell’ultima retribuzione percepita, senza bisogno di quantificare l’entità precisa del danno e senza la detrazione di quanto percepito da altre entrate durante il periodo di lavoro.
E di precari ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (4.8.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Guglielmo Saporito; Titolo: “Precari della PA, possibile il risarcimento del danno”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Nessuna speranza di rapporto a tempo indeterminato con la pubblica amministrazione per chi, per più anni, ha prestato servizio temporaneo: lo conferma la Cassazione con la sentenza 3 agosto 2016 n. 16226, relativa al conducente di scuolabus in un Comune pugliese. L’unico vantaggio, per chi ha prestato servizio a tempo determinato, è un’indennità da 2,5 a 12 mensilità dell’ultima retribuzione, senza dover dimostrare l’entità del danno subìto e senza detrarre la percezione di altre entrate durante il periodo di lavoro pubblico.
La Cassazione tende a giustificare il contrasto tra le norme di diritto comunitario e nazionale che impongono la trasformazione a tempo indeterminato di ciò che nasce precario (direttiva 1999/70 e legge 368/2001, articolo 5) e i princìpi nazionali (articolo 97 della Costituzione) che impongono l’accesso a posti di lavoro pubblici solo mediante concorso. L’Ue obbliga lo Stato a garantire una tutela effettiva (Corte di giustizia, 12 dicembre 2013 in C-50/2013), cioè il cittadino deve poter ottenere, tramite sentenza, una stabilizzazione del rapporto precario. Ma ciò vale solo se il datore di lavoro è un privato, perché nel pubblico impiego è obbligatorio l’accesso tramite concorso.
L’impossibilità di ottenere l’assunzione si converte così in un indennizzo, cioè una somma di danaro che bilancia il vuoto di tutela rappresentato dall’impossibile stabilizzazione. L’indennizzo va da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, importi che dovrebbero dissuadere il datore di lavoro ma che nella realtà sono modesti: spesso si tratta di rapporti pluriennali che avevano fatto maturare consistenti aspettative.
La sentenza 16226/2016 riguarda l’autista di scuolabus comunale precario da oltre 12 anni e la Cassazione, cosciente dell’esiguità dell’importo riconosciuto al dipendente, sottolinea che comunque il lavoratore non poteva sperare in un rapporto a tempo indeterminato. Al più, la prolungata precarietà del rapporto di lavoro con pubbliche amministrazioni può aver condizionato scelte di tipo personale, facendo perdere al lavoratore chances di un’occupazione migliore (risarcibili se sono dimostrate). L’indennizzo forfettario varia da 2,5 a 12 mensilità in proporzione alla durata del contratto a tempo determinato, alla gravità della violazione, alla tempestività della reazione del lavoratore, allo sfruttamento di altre (perse) occasioni di lavoro e di guadagno per la preferenza accordata al rapporto con la pubblica amministrazione, considerando infine anche le dimensioni del datore di lavoro.
In sintesi, non è possibile illudersi di essere stabilizzati senza concorso, ma finché il rapporto precario viene rinnovato si può contare su un importo finale che peraltro è più punitivo per l’amministrazione che risarcitorio per il dipendente. In nessun caso il dipendente rischia la restituzione di quanto percepito (articolo 1360 del Codice civile), mentre l’indennizzo spetta anche nel caso in cui, insieme al lavoro precario pubblico, si abbia una seconda (o terza) attività.