Licenziamento illegittimo se la sede di lavoro è a casa:
La Corte di cassazione con la sentenza n. 15211 del 2016 ha affermato che si tratta di licenziamento illegittimo se la sede di lavoro è a casa, poiché quest’ultima non costituisce una autonoma unità produttiva valida ai fini dell’esclusione dell’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori per mancanza di requisiti dimensionali.
E di licenziamento illegittimo ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (2.8.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Niente recesso se la sede di lavoro è a casa”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Il luogo di abitazione utilizzato dal dipendente come sede di lavoro, anche se caratterizzato da indipendenza tecnica e amministrativa, non può essere riconosciuto come un’autonoma unità produttiva al fine di escludere l’applicabilità dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per mancanza dei requisiti dimensionali.
È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 15211 del 22 luglio 2016, in cui è stato ribadito che non si configura una unità produttiva in presenza di articolazioni aziendali le quali, anche se dotate di un grado di autonomia amministrativa, assolvono a compiti strumentali o a finalità ausiliarie rispetto al perseguimento degli scopi generali dell’impresa.
Rileva la Cassazione che, agli effetti della tutela reintegratoria, la quale si applica ai lavoratori delle imprese che occupino più di 15 dipendenti nell’ambito della medesima unità produttiva, è necessario che la sede aziendale si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di autonomia e indipendenza tali per cui in essa si esaurisca per intero una frazione essenziale dell’attività produttiva.
In mancanza di tali requisiti, nel caso in cui l’articolazione aziendale sia priva di autonomia, o nel caso in cui svolga mere funzioni ancillari rispetto al “core business” aziendale, i dipendenti che vi sono preposti devono essere sommati ai lavoratori dell’unità produttiva a cui la medesima articolazione fa capo, quand’anche ubicata presso un altro comune.
Sulla scorta di questi rilievi, la Corte ha confermato che l’abitazione del dipendente, che il medesimo utilizzava quale sede di lavoro principale nell’esercizio di un’attività commerciale svolta essenzialmente sul territorio, non costituisce una unità produttiva autonoma al fine di verificare i livelli occupazionali e, quindi, di poter escludere l’applicazione dell’istituto della reintegrazione ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Il caso sottoposto all’esame della Cassazione era relativo al licenziamento di un dipendente motivato inizialmente con l’andamento commerciale negativo dell’azienda e, in seguito, con la ristrutturazione della rete commerciale. In primo e in secondo grado era stata confermata l’illegittimità del licenziamento sul presupposto che la società aveva operato una inammissibile mutatio libelli, in quanto in sede di giudizio erano state modificate le pretese esigenze aziendali a fondamento del provvedimento di recesso datoriale, inizialmente incardinate nei risultati commerciali negativi e, successivamente, ricondotte ad una ristrutturazione aziendale.
Quale effetto della declaratoria d’illegittimità, era stata disposta la reintegrazione in servizio del dipendente, cui si era opposta la società asserendo che la sede aziendale da prendere in considerazione non era l’unità produttiva ubicata in provincia di Bologna, dove erano presenti più di 15 dipendenti, ma l’abitazione che il dipendente utilizzava per il disimpegno delle proprie funzioni.