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Appalto, subentro e diritti dei lavoratori acquisiti

Trasferimento di azienda e del personale nel cambio di appalto

Appalto, subentro e diritti dei lavoratori acquisiti:

L’impresa che subentra in un appalto ha l’obbligo, in generale, di mantenere gli stessi diritti ai lavoratori acquisiti. Tale obbligo però non viene applicato quando l’impresa che subentra possiede una propria struttura organizzativa ed operativa e “siano presenti elementi di discontinuità nell’esecuzione del servizio che determinino una specifica identità d’impresa”. Queste le novità introdotte dalla nuova normativa su appalto e trasferimento d’azienda in ottemperanza alle richieste della Commissione europea (L.n. 122 del 2015).

E di appalto e trasferimento di azienda ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (25.7.2016) dal Sole 24 Ore (Pagina a cura di Daniele Colombo; Titolo: “Appalti, subentri con eccezioni”) che proponiamo.

Ecco l’articolo.

La normativa sul trasferimento di azienda (articolo 2112 del Codice civile) con l’obbligo per l’impresa che subentra in un appalto di mantenere gli stessi diritti ai lavoratori acquisiti, non si applica quando il personale impegnato nell’ appalto sia «assorbito» da un’ impresa dotata di una propria struttura organizzativa ed operativa e siano presenti elementi di discontinuità nell’esecuzione del servizio che determinino una specifica identità di impresa.

Dal 23 luglio il subentro nell’ appalto conosce nuove regole. Da quella data, infatti, è in vigore il comma 3 dell’articolo 29 del Dlgs 276/03 (come riformato dall’articolo 30 della legge 122/2016, la legge europea 2016. La modifica legislativa vuole rispondere alla richiesta della Commissione europea secondo cui la precedente formulazione dell’articolo 29 del decreto 276 (che escludeva l’applicazione dell’articolo 2112 del Codice civile in caso di subentro nell’ appalto) restringeva in modo illegittimo l’ambito di applicazione delle regole sul trasferimento di azienda, anche in caso di subentro.

Il nuovo terzo comma dell’articolo 29 del Dlgs 276/03 prevede che: «L’acquisizione di personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo o di clausola del contratto di appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinino una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento di azienda o di ramo di azienda».

La norma intende “sterilizzare” l’applicazione della normativa sul trasferimento di azienda (e delle relative procedure sindacali ove applicabili per legge) quando l’acquisizione del personale avviene da parte di un appaltatore che, da una parte, è “dotato di una propria struttura organizzativa ed operativa e, dall’altra, quando, l’azienda subentrante ha una specifica identità di impresa.

In attesa di maggiori chiarimenti da parte della giurisprudenza e della prassi, si può ritenere, ad esempio, che l’esclusione non si applichi quando l’impresa subentrante non è dotata (o ne è dotata in maniera poco rilevante) della struttura organizzativa necessaria per espletare il servizio appaltato. La struttura quindi viene acquisita dall’appaltatore “uscente”. In altre parole, l’obbligo di garantire lo stesso trattamento economico e contrattuale ai lavoratori acquisiti (che scatta con le regole sul trasferimento d’azienda) non trova applicazione tutte le volte in cui il nuovo appaltatore ha già una propria struttura organizzativa e operativa per rendere il servizio oggetto dell’ appalto, anche se con i “vecchi” dipendenti riassunti.

In più, è necessaria la presenza di elementi di discontinuità che determinino una specifica identità di impresa. Ma come deve essere interpretato questo ulteriore requisito? Sempre in attesa di chiarimenti amministrativi e giurisprudenziali, si può pensare che la discontinuità sia presente tutte le volte in cui il servizio viene riorganizzato e realizzato in modo nuovo dalla nuova impresa.

In effetti l’identità di impresa si può desumere non solo dalla cessione di beni materiali, ma anche immateriali, compresa la metodologia organizzativa.

Può ritenersi, ad esempio, discontinuo il servizio ambientale ovvero il servizio di pulizia reso dall’impresa subentrante che, oltre a introdurre metodi di raccolta o di pulizia differenti, organizzi e svolga la raccolta ovvero il servizio di pulizia con strumenti nuovi, ad esempio, facendo partecipare i lavoratori ad uno specifico corso di formazione. Vedremo come verrà applicata la normativa e quali saranno le interpretazioni giurisprudenziali che, alla luce della genericità della disposizione, potrebbero essere tra loro diverse, a discapito dalla certezza del diritto.

LA PAROLA CHIAVE

Trasferimento d’azienda

Per trasferimento d’azienda s’intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda.

In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

GLI ESEMPI

L’IMPRESA SENZA ATTREZZATURA

Il subentro senza mezzi propri

Se l’impresa subentrante non è dotata della struttura organizzativa (ad esempio beni, mezzi, attrezzature, strumenti, metodi) necessaria per espletare il servizio appaltato acquisito dall’appaltatore “uscente” si applica la normativa sul trasferimento di azienda (o di un suo ramo) ex articolo 2112 del Codice civile. I lavoratori trasferiti mantengono tutti i diritti, compresi i trattamenti economici e normativi pregressi (retribuzione, livello, categoria)

IL SERVIZIO INVARIATO

Ai vecchi lavoratori inquadramento e stipendi senza modifiche

Se il nuovo appaltatore subentra, con una propria struttura organizzativa e operativa, nel servizio già espletato da un’altra impresa ma continua a fornire identico servizio al cliente sfruttando il know-how del precedente appaltatore, i lavoratori assorbiti mantengono i trattamenti economici e normativi pregressi, come previsto dall’articolo 2112 del Codice civile

LA NUOVA STRUTTURA

Un servizio rivoluzionato

Se il nuovo appaltatore subentra in un appalto ed eroga il servizio al cliente con una propria struttura organizzativa oltre che con una diversa metodologia organizzativa o strumentale scatta la nuova legge comunitaria (articolo 29 comma 3 Dlgs 276/03). I lavoratori, salvo diversa disposizione della contrattazione collettiva, vengono riassunti dal nuovo appaltatore senza mantenere i pregressi diritti e/o trattamenti economici e normativi

CESSIONE DI?UN’UNITÀ

Un gruppo omogeneo di lavoratori mantiene i “vecchi” diritti

In caso di cessione di un gruppo di lavoratori dipendenti dotati di particolari competenze e che siano stabilmente coordinati e organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili scatta il trasferimento di ramo d’azienda (articolo 2112 del Codice civile). I lavoratori ceduti hanno diritto a mantenere i trattamenti economici e normativi pregressi

 

Il caso. Il passaggio a un’altra unità

Il gruppo omogeneo dei dipendenti mantiene i diritti

La cessione di un gruppo di dipendenti ad un’altra impresa, purché dotati di particolari competenze e stabilmente coordinati e organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili, configura una cessione di azienda con conseguente applicazione dell’articolo 2112 del Codice civile.

È quanto contenuto nella Sentenza n. 7121 del 12 aprile 2016 della Corte di Cassazione i cui principi, nella sostanza, trovano conferma nella nuova normativa sulla successione negli appalti in vigore dal 23 luglio 2016 (si veda l’articolo sopra).

I giudici della suprema Corte hanno evidenziato come, anche in questo caso, il rapporto di lavoro continua con il cessionario che conserva tutti i diritti che ne derivano così come previsto dall’articolo 2112. Ai fini del trasferimento d’azienda questa normativa postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione.

Il trasferimento d’azienda è, pertanto, configurabile anche in ipotesi di successione nell’ appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (Cassazione 16 maggio 2013, n. 11918; Cassazione 13 aprile 2011 n. 8460).

Si configura come trasferimento d’azienda anche l’acquisizione di un complesso stabile organizzato di persone quando non occorrono mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica (Corte di giustizia 6 settembre 2011, causa C 108/10).

La giurisprudenza comunitaria, in particolare, si è orientata verso una interpretazione del requisito dell’identità dell’entità economica trasferita che prenda in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione, fra le quali rientrano, in particolare, il tipo di impresa, la cessione o meno di elementi materiali, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno delle parti più rilevanti del personale ad opera del nuovo imprenditore così come il grado di somiglianza delle attività esercitate prima e dopo la cessione.

Seguendo questo ordine di idee, quindi, la Cassazione, in linea con la giurisprudenza comunitaria, ritiene che sia configurabile un trasferimento di un ramo di azienda anche nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili. In presenza di questi elementi si realizza, pertanto, una successione legale del contratto di lavoro – e non una mera cessione – che non necessita del consenso del contraente ceduto ex articolo 1406 del Codice civile (da ultimo Cassazione, sentenza 28 aprile 2014, n. 9361).

Giurisprudenza. La Cassazione specifica in quali circostanze l’affidamento nasconde interposizioni vietate

Gli indici rivelano i contratti «genuini»

La bussola per distinguere l’appalto legittimo dall’interposizione di manodopera (vietata) arriva sempre più dalla giurisprudenza che precisa i contorni della normativa di riferimento (articolo 29, comma 1 del Dlgs 276/03).

Così, ad esempio, la Cassazione ha chiarito che il divieto di intermediazione ed interposizione di manodopera nelle prestazioni di lavoro, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, anche strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.

Non è necessario, infatti, per realizzare un’ipotesi di intermediazione vietata, che l’impresa appaltatrice sia fittizia, atteso che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore all’organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, rimane priva di rilievo ogni questione legata al rischio economico e alla sua autonoma organizzazione.

È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione a proposito dell’individuazione della fattispecie dell’appalto di servizi lecito rispetto all’interposizione di manodopera vietata (Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 24 novembre 2015, n. 23962).

Il Dlgs 276 prevede che il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto. Non solo: nell’appalto vero e proprio l’appaltatore assume il rischio d’impresa.

Nel corso del tempo la giurisprudenza ha elaborato degli indici di non genuinità dell’appalto. Indici rilevatori della mancanza di organizzazione, ad esempio sono: l’inesistenza di un’organizzazione di tipo imprenditoriale; la mancanza dell’effettivo esercizio del potere direttivo sui lavoratori; l’impiego di capitali, macchine e attrezzature dell’appaltante; la natura delle prestazioni svolte che esula da quelle dell’appalto, afferendo a mansioni tipiche dei dipendenti del committente; il corrispettivo pattuito in base alle ore effettive di lavoro e non riguardo all’opera compiuta o al servizio eseguito, ovvero corresponsione della retribuzione direttamente da parte del committente.

Gli indici rivelatori del rischio di impresa sono: l’avere un’attività imprenditoriale che viene esercitata abitualmente; svolgere una propria attività produttiva in maniera evidente e comprovata; operare per conto di differenti imprese da più tempo o nel medesimo arco temporale considerato.

L’illiceità dell’appalto non è senza conseguenze. Oltre a sanzioni di carattere amministrativo, infatti, sul piano organizzativo, i lavoratori potranno ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro direttamente nei confronti dell’effettivo datore di lavoro, con salvezza delle retribuzioni e della contribuzione versata dal datore di lavoro fittizio come disposto dallo stesso articolo 29 del Dlgs 276/03.

 

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