Aggressività sul lavoro presentato studio INAIL con Università Bocconi:
L’INAIL, con comunicato di ieri, ha presentato uno studio su aggressività sul lavoro realizzato con l’Università Bocconi di Milano al convegno svoltosi lo scorso 5 aprile. Tale ricercata, avviata due anni fa su un campione di imprese lombarde, ha il fine di prevenire e gestire un “fenomeno subdolo e sottovalutato, soprattutto quando non è di natura fisica ma psicologica”.
Al riguardo si legge quanto segue nel comunicato INAIL.
MILANO – “Aggressività in azienda. Come prevenirla e gestirla”. Questo il titolo della ricerca promossa dalla direzione regionale Inail Lombardia e realizzata dalla Sda Bocconi School of management, presentata la scorsa settimana a Milano. Lo studio, avviato nel 2014 su un campione di imprese lombarde individuate in un’ampia gamma di settori (industria, commercio, trasporti, finanza, assicurazioni, sanità e servizi), ha dimostrato come i comportamenti aggressivi siano in crescita, soprattutto nei trasporti e nei servizi.
Rotoli: “Una scelta lungimirante”. “Avviare questa ricerca è stata una scelta lungimirante della direzione regionale Lombardia – ha sottolineato durante la presentazione Ester Rotoli, direttore centrale Prevenzione dell’Inail – perché ha focalizzato l’attenzione su un tema importante che coinvolge tutto il sistema delle imprese e ha fotografato una realtà spesso sommersa nelle aziende, in termini di comportamenti aggressivi, fornendo da una lato un quadro analitico di fatti e di cifre e lanciando dall’altro un monito per una maggiore consapevolezza e prevenzione”. Secondo Rotoli, “per fronteggiare il fenomeno delle molestie e della violenza nei luoghi di lavoro occorre prima di tutto sensibilizzare e trasmettere conoscenza, mettere in atto percorsi adeguati di formazione e coaching; ma è sulla cultura, sul clima e sul sistema organizzativo, che occorre investire per rendere i luoghi di lavoro sempre più sostenibili, partecipati e tesi al benessere dei lavoratori. La leadership dei manager, l’approccio bottom-up, dal basso verso l’alto, e le politiche incentrate sulle risorse umane rappresentano elementi fondamentali per il successo”.
Magni: “Episodi minori possono essere l’anticamera di fatti più gravi”. “I fenomeni di aggressività sul lavoro risaltano solo quando si concretizzano in azioni di particolare gravità – spiega Massimo Magni, direttore dell’area organizzazione e personale della Sda Bocconi – mentre passano in secondo piano comportamenti dall’impatto più contenuto ma importanti per gli effetti di medio-lungo periodo sull’individuo e sull’organizzazione. Nei luoghi di lavoro vi è un’aggressività più subdola, non necessariamente fisica, ma che si sostanzia nel tono della voce, nella gestualità, nelle minacce implicite o nel sarcasmo, che purtroppo possono rappresentare l’anticamera di fatti più gravi”.
A soffrirne è anche la produttività. I risultati dimostrano che, sebbene i fenomeni più gravi siano molto limitati, le aziende con elevata probabilità che si manifesti un fenomeno aggressivo sono il 14% e, se si considera una probabilità media di rischio, salgono al 68%. “Dal punto di vista delle conseguenze organizzative, la ricerca ha messo in luce che l’aggressività non paga – sottolinea Magni – I risultati delle interviste ai manager mostrano infatti che le aziende con un elevato grado di aggressività sono meno innovative rispetto alla concorrenza, denotano minore produttività e faticano a sviluppare le competenze dei propri lavoratori. In generale, le aziende con alto grado di aggressività sono meno performanti del 10%”.
Sergio Iavicoli:”Necessario il coinvolgimento delle parti”. “L’indagine è interessante per il coinvolgimento delle aziende, ma auspico che la ricerca in futuro coinvolga anche i lavoratori oltre al top management – ha detto durante la tavola rotonda Sergio Iavicoli, direttore del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail – Per aumentare la consapevolezza sull’aggressività e intervenire concretamente in azienda è necessario coinvolgere tutte le parti ed essere attenti a cogliere, in maniera strutturata, i segnali dei lavoratori. La campagna avviata a suo tempo sullo stress lavoro-correlato ha aperto una strada e i datori di lavoro se ne sono dovuti occupare in termini di miglioramento dell’organizzazione, configurandolo come un nuovo rischio. Poi sono arrivate le norme. L’auspicio è che un percorso analogo possa essere intrapreso per quanto riguarda l’aggressività sul luogo di lavoro.”
Traficante: “Può essere anche un fattore scatenante degli infortuni”. Nella prefazione della ricerca Antonio Traficante, direttore dell’Inail Lombardia, sottolinea che “l’aggressività sui luoghi di lavoro può costituire un fattore scatenante del fenomeno infortunistico e tecnopatico” e che “un’adeguata prevenzione può contribuire a disinnescarlo, migliorando il clima aziendale e la qualità delle performance produttive”. Questo studio, aggiunge Traficante, “rappresenta un’opportunità per sviluppare sinergie operative e coinvolgere nella rete virtuosa della prevenzione e della sicurezza il maggior numero possibile di soggetti, per condividere valori e conoscenze, quali indispensabili fattori di sviluppo e volano per la crescita economica del Paese”.
Il criminologo: “Attenzione a sguardo e postura dell’interlocutore”. Gli incidenti sul posto di lavoro legati alla rabbia sono in preoccupante aumento, come dimostrato dalle ricerche condotte a livello nazionale e internazionale. Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, che insieme a Magni ha curato lo studio promosso dall’Inail, indica i segnali non verbali che potrebbero precedere un’aggressione e sottolinea l’importanza di saperli riconoscere, per poter affrontare e gestire correttamente la situazione. Lo sguardo dell’interlocutore “perso nel vuoto”, ad esempio, è segno di uno stato di realtà alterato e può indicare che non “si è i benvenuti”. Ma anche uno sguardo fisso, se le circostanze indicano che l’individuo è ostile, può essere un segnale di allarme. Anche la postura di una persona con le mani alzate tra le anche e il volto, in quella che viene definita la “boxer’s stance”, o posizione del pugile, oppure le mani chiuse a pugno o che si aprono e chiudono continuamente, possono indicare una situazione di nervosismo e rabbia.
Alleghiamo anche la Relazione di uno dei relatori partecipati allo studio il dr. Massimo Magni – Direttore Area Organizzazione e Personale, SDA Bocconi.
(Fonte: INAIL-Università Bocconi)