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Inidoneità fisica e rifiuto svolgimento mansioni

La Cassazione, con la sentenza n. 4502 del 2016 su licenziamento illegittimo per rifiuto di svolgere le proprie mansioni a causa di inidoneità fisica, ha stabilito che è onere del datore di lavoro sottoporre la lavoratrice alla visita del medico competente oltre che garantire la sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro.

A parlarcene è l’articolo pubblicato oggi (9.3.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Nuove mansioni, onere datoriale la prova d’idoneità”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

È illegittimo il licenziamento intimato a una dipendente per essersi rifiutata di svolgere le proprie mansioni, sia pur di pari livello professionale, presso un altro reparto aziendale, avendo la lavoratrice addotto la propria inidoneità fisica rispetto alle nuove attività e non essendo necessario che, a tale proposito, la medesima sia tenuta a documentare o ad offrire di provare la propria indisponibilità sul piano della salute.

Lo ha chiarito la Corte di cassazione con la sentenza n. 4502/16, depositata ieri, sul presupposto che, a fronte della deduzione da parte della lavoratrice di uno stato avversativo di salute rispetto alle nuove mansioni, costituisce onere datoriale, sia in applicazione degli obblighi di sicurezza ex articolo 2087 del codice civile, sia dei principi di correttezza e buona fede ex articolo 1375 del codice civile, sottoporre la lavoratrice stessa alla visita del medico competente.

Il caso esaminato dalla Corte era relativo alla dipendente di una cooperativa di consumo a cui era stato chiesto di svolgere turni di servizio presso il banco del pesce, cui la lavoratrice si era opposta adducendo, senza fornire documentazione a supporto, un’inidoneità fisica allo svolgimento di qualsivoglia attività a contatto con il pesce fresco.

In primo grado il licenziamento era stato ritenuto legittimo per essere il rifiuto opposto dalla lavoratrice, in assenza di prove sul proprio stato di salute, ingiustificato, mentre la Corte d’appello aveva ribaltato la decisione sul presupposto che non poteva porsi a carico della donna l’onere di dimostrare la propria inidoneità fisica.

La Cassazione ha confermato la decisione della corte territoriale, rimarcando che l’articolo 41 del Decreto legislativo 81/08 in materia di sorveglianza sanitaria non può essere letto, così come pretendeva la cooperativa, nel senso che incombesse sulla lavoratrice la dimostrazione della propria inidoneità fisica alla prestazione lavorativa presso il banco del pesce.

L’articolo 41 citato prevede, tra le altre ipotesi, che l’intervento del medico competente si abbia qualora ne faccia richiesta il lavoratore in correlazione con un rischio lavorativo.

La Corte non ha ritenuto che tale disposizione possa applicarsi in caso di nuove mansioni affidate al lavoratore, affermando che compete al datore di verificare preliminarmente lo stato di salute del dipendente, se il lavoratore adduce una propria inidoneità. Ciò, in applicazione sia dei generali canoni di correttezza e buona fede, sia dell’obbligo di tutelare le condizioni di lavoro dei dipendenti, che avrebbero dovuto indurre l’impresa, una volta accertata l’inidoneità fisica alla prestazione delle nuove attività, ad adottare misure alternative al licenziamento.

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