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La certificazione dei rapporti di collaborazione

La certificazione dei rapporti di collaborazione

La certificazione dei rapporti di collaborazione:

Abbiamo già affrontato l’argomento che riguarda la certificazione dei rapporti di collaborazione dopo che le nuove regole, introdotte dal jobs act ed entrate in vigore dallo scorso 1° gennaio, hanno eliminato di fatto i co.co.co. anche se non in via definitiva.

Vi proponiamo pertanto l’approfondimento pubblicato oggi (11.1.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giampiero Falasca; Titolo: “Un “bollino di garanzia” dalla certificazione”) sull’argomento.

Ecco l’articolo.

Le nuove regole sulla collaborazione coordinata e continuativa, entrate in vigore il 1 gennaio scorso, non sanciscono la scomparsa definitiva di questa forma contrattuale, ma impongono una diversa gestione dei rapporti tra le parti.

L’elemento che prima non bastava per riqualificare il rapporto (l’ingerenza organizzativa del committente nell’attività del collaboratore) diventa oggi decisivo ai fini dell’applicazione delle regole e delle tutele tipiche del lavoro subordinato.

Questo automatismo – che sembra risolversi in una sorta di presunzione assoluta di subordinazione – non opera nei confronti di tutti i contratti di collaborazione coordinata e continuativa: la legge, infatti, ha individuato una serie di ipotesi nelle quali tale meccanismo non è applicabile.

Una particolare forma di esenzione si applica nei confronti dei contratti certificati da commissioni appositamente abilitate dalla legge (comma 3 dell’articolo 2 del Dlgs 81/2015).La certificazione, in questo contesto, serve a selezionare il mercato, imprimendo un bollino di garanzia a quei contratti che sono impostati su basi corrette.

Il meccanismo della certificazione può essere attivato dalle parti del contratto, che chiedono a una commissione (scelta tra quelle previste e abilitate dalla legge: le Dtl, le commissioni sindacali, le università, la Fondazione dei consulenti del lavoro, eccetera) di verificare se sussistono oppure no gli elementi necessari per qualificare come genuino il rapporto di collaborazione (quindi, l’assenza di etero-organizzazione, e degli altri requisiti in grado di confermare l’autonomia del collaboratore).

Se questa verifica si conclude con esito positivo, la commissione rilascia il provvedimento di certificazione, un atto amministrativo che produce – ai sensi della legge Biagi – “efficacia di legge”.

I terzi interessati a rimuovere gli effetti del provvedimento (come gli ispettori di vigilanza, che potrebbero mirare a una diversa qualificazione del rapporto) non possono contestare la genuinità della forma contrattuale utilizzata, a meno che non intervenga una sentenza giudiziale che attesti l’erroneità del provvedimento, oppure la difformità tra il rapporto inizialmente certificato e quello concretamente svoltosi tra le parti.

Il cambiamento non è di poco conto: senza certificazione, infatti, l’organo di vigilanza potrebbe applicare immediatamente le sanzioni connesse all’errata qualificazione del rapporto, mentre di fronte a un provvedimento di questo tipo dovrebbe fermarsi e, prima di applicare eventuali sanzioni, chiedere e ottenere al giudice l’annullamento dei suoi effetti.

La legge individua altri casi nei quali non si verifica l’applicazione automatica della presunzione di subordinazione. Una prima ipotesi – si veda l’articolo sovrastante – è quella rimessa alla volontà delle parti sociali, che tramite un accordo collettivo di livello nazionale possono determinare l’inapplicabilità del criterio della etero-organizzazione nei confronti dei collaboratori rientranti nel rispettivo campo di applicazione. La legge non dice in maniera precisa cosa devono prevedere tali intese, limitandosi a richiedere che contengano «discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo».

La presunzione non si applica neanche alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali: va tuttavia ricordato che l’esenzione non si applica se il collaboratore svolge attività diverse da quelle per le quali l’iscrizione all’albo è stata effettuata.

Il criterio della etero-organizzazione, infine, non si applica neanche alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali e affini.

Si precisa, infine, che tra gli iscritti alla gestione separata Inps, la stretta sulle collaborazioni non sembra applicarsi ai venditori porta a porta che per legge (173/05) possono operare con o senza vincolo di subordinazione. In questa ultima ipotesi le stesse modalità operative di svolgimento dell’incarico escludono l’etero-organizzazione.

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