Criterio anzianità nei licenziamenti collettivi:
Il criterio dell’anzianità nei licenziamenti collettivi è legittimo e non discriminatorio: è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22914/2015.
È anche il tema di un articolo pubblicato oggi (3.12.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Massimiliano Biolchini e Serena Fantinelli; Titolo: “Legittimo il criterio dell’anzianità”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Nei licenziamenti collettivi è legittimo e non discriminatorio il criterio unico basato sull’età. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 22914/2015, chiamata a valutare la legittimità della scelta, contenuta nell’accordo sindacale, per procedere alla riduzione della forza lavoro, consistente nella maggiore vicinanza al pensionamento.
Un lavoratore ha promosso ricorso ritenendo che dovesse essere ritenuto discriminatorio e quindi nullo il licenziamento basato esclusivamente sull’età anagrafica dei dipendenti, perché in aperto contrasto con l’articolo 15 della legge 300/1970, come modificato dal Dlgs 216/2003, che ha dato ingresso nel nostro ordinamento alla disciplina comunitaria in tema di parità di trattamento e non discriminazione.
Ebbene, i giudici della Suprema corte hanno statuito che «la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare…poiché adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla legge n. 300/1970, art. 15, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità e devono essere coerenti col fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori», con la conseguenza che nel criterio unico, che non consente alcuna discrezionalità all’azienda, non può rinvenirsi alcun elemento discriminatorio.
La sentenza segue di poco altre due pronunce, la 11690 e la 13794 del 2015, con le quali la Corte ha fornito lo stesso indirizzo interpretativo: il criterio unico di prossimità al pensionamento è legittimo e non discriminatorio perché consente la formazione di una graduatoria rigida che può essere applicata e controllata senza margini di discrezionalità e perché va a incidere sulla posizione di lavoratori che, potendo fruire del trattamento di quiescenza, subiscono dal licenziamento il danno minore.
La Cassazione, quindi, sembra ormai avere definitivamente sconfessato la giurisprudenza di merito che si era formata subito dopo l’entrata in vigore del Dlgs 216/2003 (Corte d’appello Firenze 27 marzo 2006 e tribunale Milano 22 luglio 2005), ma anche superato le pronunce con le quali la stessa Corte, pur avendo ritenuto valido il criterio unico della vicinanza al pensionamento, ha messo in evidenza che se lo stesso si fosse rivelato insufficiente a individuare i dipendenti da licenziare, sarebbe divenuto automaticamente illegittimo qualora non combinato con altro criterio di selezione (sentenza 12781/2003).