Rapporti a termine negli studi professionali:
Il nuovo CCNL in tema di rapporti a termine negli studi professionali stabilisce che questi possono avere una durata massima di 36 mesi comprensivi di eventuali proroghe e per lo svolgimento di qualsiasi tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato che in quella del contratto di somministrazione a tempo determinato.
È questo il tema trattato da un articolo pubblicato oggi (26.11.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Alessandro Rota Porta; Titolo: “Assunti a termine senza pausa”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Rapporti di lavoro a tempo determinato flessibili negli studi professionali in cui si applica il relativo contratto collettivo nazionale: la regolamentazione in vigore fino a marzo 2018 ha raccolto in larga parte la delega lasciata dal legislatore – prima con il Dl 34/2014 e poi confermata dal codice dei contratti – andando a definire un impianto ad hoc per il comparto.
Con riferimento alla durata massima, l’articolo 52 del Ccnl opera una disciplina coerente con quella fissata dalla legge: il rapporto di lavoro concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a termine, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato, può durare al massimo 36 mesi, comprensivi di eventuali proroghe. È stata comunque prevista la possibilità di un successivo contratto in deroga al limite dei 36 mesi, per un ulteriore periodo non superiore a 8 mesi, elevabile a 12 dalla contrattazione territoriale.
Un’altra novità apportata dal Ccnl è l’abolizione del cosiddetto stop&go, quindi i rapporti di lavoro a tempo determinato possono essere rinnovati senza soluzione di continuità, non dovendo rispettare le canoniche tempistiche di legge circa gli intervalli minimi tra un contratto a termine e il successivo.
Confermata, invece, la disposizione normativa che, in relazione alle mansioni per cui il contratto è stato inizialmente stipulato, ammette complessivamente un massimo di 5 proroghe.
Per quanto riguarda il numero di contratti a termine attivabili, i datori di lavoro devono attenersi ai seguenti criteri: le strutture che occupano fino a 5 dipendenti a tempo indeterminato possono assumere fino a 3 lavoratori a termine (la norma ne consentirebbe uno); quelle da 6 a 15 non possono eccedere il 50% dei lavoratori a tempo indeterminato; quelle con più di 15 non possono superare il 30 per cento. I limiti “generali” indicati nell’articolo 23 del Dlgs 81/2015 sono invece più restrittivi, poiché prevedono il tetto del 20% per tutti i datori con più di 5 dipendenti.
Da notare, inoltre, come il Ccnl faccia espresso riferimento al termine “strutture”: così i tetti andranno monitorati con riferimento alla singola unità lavorativa dove il datore intende realizzare la nuova assunzione a termine e non all’organico complessivo.
Il contratto collettivo nazionale facilita anche il metodo di conteggio dei limiti perché, a differenza della legge – che assume come base di computo i dipendenti con contratto indeterminato al 1° gennaio dell’anno di riferimento – utilizza la base “mobile” del numero dei lavoratori a tempo indeterminato al momento dell’assunzione.
L’articolo 52 del Ccnl si occupa anche di disciplinare in modo puntuale la gestione del diritto di precedenza dei lavoratori a termine: nel dettaglio il testo definisce una sorta di graduatoria alla quale si devono attenere i datori di lavoro, rispetto alla platea dei lavoratori che intendono esercitare il diritto stesso.
Infine sono state rinnovate le regole sul contratto di lavoro a chiamata: l’articolo 56 ne consente l’utilizzo in modo ampio e senza particolari restrizioni soggettive od oggettive, purché serva a fronteggiare periodi caratterizzati da una particolare intensità lavorativa, elencando a solo titolo esemplificativo alcune ipotesi applicative.