Licenziamento illegittimo per uso personale di internet:
È illegittimo il licenziamento irrogato come sanzione disciplinare per uso personale di internet e posta elettronica quali strumenti messi a disposizione dall’azienda per svolgere l’attività lavorativa, se tale attività non ha sottratto al lavoro una quantità di tempo rilevante. È quanto deciso dalla Cassazione con la Sentenza n. 22353 del 2015.
La Corte Suprema ha ritenuto eccessivo tale provvedimento nei confronti di un lavoratore che aveva utilizzato per fini personali internet e la posta elettronica, poiché – a parere del datore di lavoro – aveva sottratto una quantità di tempo significativa che aveva conseguentemente provocato “un blocco del lavoro, con un conseguente grave danno per l’attività produttiva”.
La Suprema Corte ha altresì riconosciuto al lavoratore a titolo di indennità risarcitoria, “la retribuzione globale di fatto maturata dall’illegittimo licenziamento fino all’esercizio dell’opzione, detratte le somme percepite in altra occupazione, oltre all’indennità forfettaria di 15 mensilità, con rivalutazione e interessi”.
Sono state poi ritenute prive di fondamento le motivazioni addotte dall’azienda in merito alla sua decisione di licenziare il dipendente, come ad esempio la contestazione che la Corte d’appello non avesse tenuto in considerazione «la lettera di contestazione di addebito, che richiamava altresì l’elusione delle informative e dei molteplici preavvisi effettuati dall’azienda datrice di lavoro», quali in particolare, una circolare e diverse e-mail con le quali l’azienda richiamava «i dipendenti ad un uso più attento della strumentazione aziendale».
Ad avviso del datore di lavoro tale condotta avrebbe integrato altresì la fattispecie della violazione del dovere di obbedienza previsto dall’articolo 2104 del Codice civile. Inoltre il datore di lavoro aveva anche contestato al dipendente “l’installazione sul personal computer di programmi coperti da copyright e di software non forniti dall’azienda che non comportavano solo un utilizzo improprio dello strumento aziendale, ma un utilizzo illegittimo, perché attuato in violazione dell’articolo 64 della Legge n. 633 del 1941, con il rischio di responsabilità quantomeno civile del datore di lavoro”. Sul punto la Corte Suprema, dopo aver esaminato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio ha ritenuto che l’utilizzo personale della posta elettronica e la navigazione in Internet erano, di difficile quantificazione temporale. Inoltre la CTU aveva si confermato la presenza sul computer aziendale del dipendente di file di natura multimediale non legati all’attività lavorativa e l’istallazione di alcuni programmi coperti da copyright, di cui non era stata accertata, però, l’utilizzazione oltre il periodo concesso come dimostrativo.
La Corte Suprema ha pertanto escluso la particolare gravità del comportamento contestato dal datore di lavoro e quindi ha ritenuto insussistente la giusta causa.