Contributi non versati dal datore di lavoro:
Con la sentenza n. 22379 del 2015 la Corte di Cassazione (Sesta Sezione Civile) è intervenuta in tema di contributi non versati dal datore di lavoro in caso di assegnazione a mansioni inferiori rispetto a quelle poi riconosciute.
In pratica il datore di lavoro, attraverso l’assegnazione a mansioni inferiori rispetto a quelle poi riconosciute, incorre in un illecito contrattuale, di cui deve sopportare le conseguenze.
L’art. 19 della legge n. 218 del 1952 (sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti) dispone quanto segue: “Il datore di lavoro è responsabile per il pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario è nullo (primo comma). Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga a cui il contributo si riferisce (secondo comma)”.
Mentre l’art. 23 della stessa legge precisa: “Il datore di lavoro che non provvede al pagamento dei contributi entro il termine stabilito o vi provvede in misura inferiore alla dovuta è tenuto al pagamento dei contributi o delle parti di contributo non versate tanto per la quota a proprio carico quanto per quella a carico dei lavoratori, nonché al versamento di una quota aggiuntiva pari a quella dovuta, ed è punito con l’ammenda … (primo comma) …”.
Pertanto ad avviso della Corte, qualora il datore di lavoro sia inadempiente verso il lavoratore per quote di retribuzione, l’inadempimento sorge al momento del mancato pagamento delle medesime, perché l’intervento del giudice che sancisce tale obbligo ha il valore di accertamento costitutivo e di condanna. Tuttavia il ritardo nel pagamento dei contributi previdenziali tra origine dall’inosservanza da parte del datore di lavoro – che non può procrastinare a causa della propria inadempienza il periodo di paga anche ai fini della trattenuta di cui al citato art. 23 secondo comma dei principi di buona fede e di correttezza nello svolgimento del rapporto contrattuale, restando quindi escluso che questi, pagati i contributi, abbia diritto di rivalersi nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest’ultimo. Inoltre, sempre ad avviso della Corte, il citato articolo 23 può non trovare applicazione solo quando il ritardo non sia imputabile al datore. E pertanto il datore di lavoro, attraverso l’assegnazione a mansioni inferiori rispetto a quelle poi riconosciute, è incorso in un illecito contrattuale, di cui deve sopportare le conseguenze.