Rinuncia alla retribuzione nel settore calcistico:
Con l’Interpello n. 26 del 5 novembre 2015 in tema di rinuncia alla retribuzione nel settore calcistico (art. 9, D.Lgs. n. 124/2004) la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro ha risposto ad un quesito avanzato dall’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro.
L’Associazione ha infatti ha avanzato istanza di interpello al fine di conoscere il parere della Direzione Generale in ordine alla ipotesi in cui, in ambito sportivo professionistico, “calciatori e tecnici rinuncino a stipendi già maturati e non ancora corrisposti per svincolarsi in tempi rapidi dalla società e trovare ingaggio altrove”.
In particolare, l’istante ha chiesto di sapere se i suddetti atti abdicativi, stipulati in sede sindacale, possano avere ad oggetto anche i contributi previdenziali e assistenziali che risultano dovuti sulla base della retribuzione maturata e non ancora corrisposta; nell’ipotesi negativa, se la contribuzione debba essere calcolata sulle mensilità di stipendio che il lavoratore avrebbe diritto di percepire per contratto oppure sui minimali di legge.
È stato chiesto, infine, quali siano in tali fattispecie le modalità di compilazione del Libro Unico del Lavoro – L.U.L., tenuto conto che il lavoratore non percepisce le retribuzioni maturate per una o più mensilità.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali, per le Politiche Previdenziali e Assicurativi e dell’Ufficio legislativo, la Direzione Generale ha esposto quanto segue.
Ai fini della soluzione dei quesiti sollevati, occorre muovere dall’analisi della L. n. 91/1981, recante norme in materia di rapporti di lavoro tra società e sportivi professionisti, ricomprendendo in tale categoria le figure degli atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI (art. 2).
I rapporti di lavoro disciplinati dalle disposizioni della citata Legge sono esclusivamente quelli appartenenti alla tipologia del lavoro subordinato, forma contrattuale tipica per l’assunzione dell’atleta professionista, in quanto nei confronti di quest’ultimo il contratto di lavoro autonomo risulta configurabile solo laddove ricorrano specifici presupposti, quali ad esempio l’assenza di vincolo contrattuale circa la frequenza a sedute di preparazione e allenamento, prestazioni non superiori alle otto ore settimanali, rese nell’ambito di cinque giorni ogni mese o trenta giorni ogni anno (art. 3).
I suddetti rapporti di lavoro subordinato che comportano l’obbligo dello sportivo professionista di espletare la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione della società, in cambio di una retribuzione, presentano alcuni elementi di specialità rispetto al modello tradizionale, declinati dalla medesima Legge n. 91 proprio in ragione delle peculiarità del settore.
Con riferimento al trattamento retributivo, va sottolineato che lo stesso viene concordato in sede di stipulazione del contratto di ingaggio per ogni singolo anno di durata e corrisposto dalla società allo sportivo in dodici rate mensili. La retribuzione annua lorda assorbe ogni altro emolumento ovvero le spettanze per straordinari, trasferte, gare notturne; non può essere inferiore, inoltre, al c.d. “minimo federale”, determinato per ogni singola serie professionistica con separato accordo collettivo tra le parti, ovvero tra ciascuna delle Leghe professionistiche e l’Associazione Italiana Calciatori.
Per quanto riguarda, invece, l’assolvimento degli obblighi contributivi si fa presente che, oltre a quelli concernenti l’assicurazione contro invalidità, vecchiaia e superstiti nonché a quella per le malattie, ai sensi dell’art. 4 della Legge in esame, le società sportive sono tenute a versare un ulteriore contributo al Fondo di accantonamento dell’indennità di fine carriera, calcolato sullo stipendio annuo lordo del calciatore.
Ciò premesso, in ordine al quadro regolatorio, si ritiene utile richiamare il principio espresso dal consolidato orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale il lavoratore non può disporre dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro, tenuto conto che l’obbligazione previdenziale insorge esclusivamente tra datore di lavoro, soggetto obbligato, ed Istituto, titolare della posizione attiva creditoria; il lavoratore, dunque, rispetto all’obbligazione in esame risulta “terzo” ed esclusivamente beneficiario della prestazione (Cass., sent. n. 9180/2014).
Ne consegue che l’obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dalla circostanza che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del lavoratore, ovvero che quest’ultimo abbia rinunciato ai suoi diritti, in quanto l’Istituto, titolare del diritto di credito contributivo, non può in alcun modo essere pregiudicato da atti dispositivi di terzi, quali nella specie i lavoratori. Si ricorda, peraltro, che l’art. 2115, comma 3, c.c. dispone la nullità dei patti diretti ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza, sancendo in tal modo la regola della non negoziabilità dei diritti previdenziali, neanche qualora prescritti (Cass., sent. n. 10573/1997, n. 3122/2003, n. 17670/2007).
La Corte di Cassazione ha, altresì, sottolineato che l’art. 12 della L n. 153/1969, individuando la retribuzione imponibile in “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro”, va interpretato, alla luce del principio in forza del quale alla base del calcolo dei contributi deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto collettivo o individuale, e ciò dunque anche in presenza di rinuncia del lavoratore alle spettanze retributive già maturate e non corrisposte (cfr. art. 6 del D.Lgs. n. 314/1997).
Le successive modifiche alla Legge del 1969 hanno peraltro confermato “le disposizioni in materia di retribuzione imponibile di cui all’articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389”, secondo il quale “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
Alla luce delle osservazioni svolte, in risposta alla prima problematica sollevata, si ritiene che nell’ipotesi in cui calciatori e tecnici professionisti rinuncino a stipendi già maturati e non ancora corrisposti, la società sportiva/datore di lavoro sia comunque tenuta ad assolvere agli obblighi contributivi nei termini di legge con riferimento al trattamento retributivo complessivo non erogato stabilito nel contratto individuale, nonché a versare l’ulteriore contributo al Fondo di accantonamento, come sopra precisato.
Per quanto concerne la questione relativa alle modalità di compilazione del Libro Unico del Lavoro, “tenuto conto che il lavoratore non percepisce le retribuzioni maturate per una o più mensilità”, appare sufficiente richiamare precedenti indicazioni della Direzione generale esplicitate, tra l’altro, con circolare n. 23/2011 e risposta ad interpello n. 47/2011. In tale occasione è stata infatti evidenziata la necessità di riportare sul LUL “la quantificazione della durata della prestazione o la retribuzione effettivamente erogata”; ne consegue che, nel caso in cui si proceda a conciliazione e in tale sede il lavoratore rinunci alla corresponsione di importi retributivi – peraltro individuati nell’apposito verbale ex art. 411 c.p.c. – gli stessi non andranno indicati sul LUL.
(Fonte: Ministero del Lavoro)