Sentenza Tribunale di Roma e nuova disciplina mansioni:
Il Tribunale di Roma con la sentenza 30 settembre 2015 si è pronunciato sulla nuova disciplina delle mansioni a seguito delle novità introdotte dal Jobs Act (D.Lgs. n. 81 del 2015, che ha modificato l’art. 2103 del codice civile), stabilendo quanto segue in tema di modifica delle mansioni: “se sono rispettate le condizioni fissate dalla nuova normativa, alcune condotte considerate illecite secondo la vecchia disciplina cessano di essere tali per il periodo successivo al 25 giugno del 2015”.
Questo il tema dell’articolo pubblicato oggi (22.10.2015) sul Sole 24 Ore (Firma: Giampiero Falasca; Titolo: “Mansioni, valutazione giornaliera”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
La riforma delle mansioni introdotta dal Jobs act (decreto legislativo 81/2015, che ha modificato l’articolo 2103 del Codice civile) si applica a tutti i rapporti di lavoro, anche se instaurati prima della data della sua entrata in vigore (25 giugno 2015), e ha un impatto diretto sui demansionamenti in corso a quella data: pertanto, se sono rispettare le condizioni fissate dalla nuova normativa, alcune condotte considerate illecite secondo la vecchia disciplina cessano di essere tali per il periodo successivo al 25 giugno del 2015.
Queste le conclusioni cui giunge la sentenza del 30 settembre del tribunale di Roma, una delle prime decisioni applicative della riforma delle mansioni.
Osserva il tribunale che, con la scomparsa del requisito dell’equivalenza delle mansioni, il datore di lavoro ha vincoli meno stringenti nell’esercizio del cosiddetto jus variandi orizzontale, vale a dire lo spostamento del dipendente a mansioni equivalenti. La nuova disciplina consente, infatti, l’assegnazione di «mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte». Il giudizio di equivalenza, pertanto, deve essere condotto assumendo quale parametro solamente le previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto.
Ne consegue che, a differenza del passato, è legittimo lo spostamento del lavoratore a mansioni che appartengono allo stesso livello di inquadramento di quelle svolte in precedenza, non dovendosi più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente. La sentenza conferma, quindi, l’interpretazione assolutamente maggioritaria circa l’effettiva portata della nuova normativa, escludendo che questa lasci qualsivoglia spazio residuo a possibili giudizi di equivalenza professionale tra le mansioni vecchie e nuove (salvo quello relativo alla rispondenza delle stesse al livello di inquadramento).
Per quanto riguarda le regole transitorie, la sentenza evidenzia che non esiste nella riforma alcuna disciplina speciale che regoli gli effetti delle nuove norme rispetto ai rapporti in corso. In mancanza di regole speciali, è da ritenere pacifico che la riforma legislativa si applichi anche ai rapporti di lavoro già in corso alla data della sua entrata in vigore. Resta comunque il dubbio circa l’applicabilità delle nuove regole anche a mutamenti di mansioni disposti prima del 25 giugno 2015 e in atto ancora dopo quella data.
A questa domanda il tribunale dà una risposta affermativa, rilevando che il demansionamento del lavoratore costituisce una sorta di illecito “permanente”, nel senso che esso si attua e si rinnova ogni giorno in cui il dipendente è mantenuto a svolgere mansioni inferiori rispetto a quelle che egli, secondo legge e contratto, avrebbe diritto di svolgere.
Di conseguenza, la valutazione della liceità condotta del datore di lavoro va compiuta con riferimento alla disciplina legislativa e contrattuale vigente giorno per giorno: se questa disciplina cambia, autorizzando una condotta che prima non era ammessa, l’illecito si interrompe per i periodi successivi alla modifica normativa.
Applicando questi principi al caso concreto, il giudice passa a esaminare la vicenda del presunto demansionamento di un dipendente che ha lamentato una vera e propria sottrazione di mansioni, per essere stato arbitrariamente richiamato da un distacco presso un’impresa terza e assegnato a mansioni non equivalenti, a partire da un momento anteriore al 25 giugno 2015.
Il giudice esclude che sussista il demansionamento lamentato e quindi non riconosce alcun danno. Tuttavia, anche se avesse riscontrato il demansionamento, applicando il ragionamento sopra descritto avrebbe delimitato il risarcimento solo per il periodo antecedente all’entrata in vigore della modifica introdotta dal Jobs act.