Baby lavoratori in Italia:
Numeri inquietanti per i baby lavoratori in Italia che sono ben 260mila dei quali 30mila a rischio sfruttamento, è quanto emerge dal comunicato stampa INAIL del 29.9.2015 che vi proponiamo.
Ecco il comunicato.
ROMA – Commessi, baristi, parrucchieri. Ma anche braccianti agricoli, meccanici di officina, manovali nei cantieri. Questi alcuni degli impieghi più diffusi tra il piccolo esercito di 260mila lavoratori under 16 che in Italia, invece di andare a scuola, ogni giorno si guadagna da vivere lavorando complessivamente oltre un milione di ore. Uno su due non viene neppure pagato, anche perché la maggioranza aiuta in casa (33%) o nell’attività di famiglia (40%).
Per il 54% dei genitori scelta ok se c’è la crisi. A tracciare il loro identikit è l’Osservatorio nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paidòss), che bolla il fenomeno dei baby lavoratori come un vero e proprio “furto dell’infanzia, da condannare senza se e senza ma”. Non tutti i genitori, però, sembrano condividere questo giudizio così netto. Come emerge da un’indagine commissionata a Datanalysis e condotta su un campione rappresentativo di mille mamme e papà – i cui risultati sono stati presentati la scorsa settimana a Roma, in un convegno ospitato dal Civ Inail presso la sede dell’Istituto di via IV Novembre – nonostante l’80% sia consapevole del fatto che il lavoro minorile priva i ragazzi dell’infanzia, della formazione scolastica e della crescita psicofisica, il 54% lo giustifica, in parte, se dettato dalla necessità di far fronte alla crisi economica.
“La gavetta prima dei 16 anni pregiudica salute e benessere”. “L’idea che iniziare la gavetta presto possa aiutare i ragazzi a inserirsi meglio nel mondo del lavoro è falsa e fuorviante – ha spiegato Giuseppe Mele, presidente di Paidòss – Un modo utile soprattutto a nascondersi ipocritamente di fronte alla realtà: lavorare prima dei 16 anni mette a rischio la salute e il benessere psicofisico e non aiuta a trovare meglio lavoro. Le stime indicano addirittura che un bambino costretto a lavorare prima del tempo da adulto avrà il doppio delle difficoltà per trovare un impiego dignitoso”.
“Spesso sono esperienze dure e insicure”. “Purtroppo c’è una diffusa mancanza di consapevolezza della pervasività e delle conseguenze del lavoro minorile – ha confermato la senatrice Camilla Fabbri, presidente della commissione d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro – L’istruzione nell’infanzia non può essere sostituita con il lavoro: gli impieghi dei minori non hanno mai ‘valore’ e soprattutto negano un diritto umano, quello a una crescita personale, sociale e morale in serenità che ciascuno deve avere. Il lavoro minorile non è mai positivo, spesso si tratta di esperienze dure per gli orari estenuanti, la mancanza di condizioni di sicurezza, i rapporti complessi con i datori di lavoro anche quando si tratta di familiari. Un ragazzino lavoratore corre più rischi di rimanere ai margini della società: l’istruzione deve essere garantita e l’abbandono scolastico combattuto con ogni mezzo, perché è l’unico modo per garantire che i giovani acquisiscano conoscenze e competenze davvero adeguate al mercato del lavoro in continua evoluzione”.
“Molti infortuni denunciati come incidenti di gioco”. La fascia più vulnerabile è quella dei 30mila ragazzi con meno di 16 anni che sono a rischio sfruttamento perché impiegati in lavori pericolosi o che possono compromettere molto seriamente il loro sviluppo, ad esempio perché costretti a stare svegli durante la notte. Molti infortuni, ha osservato a questo proposito il presidente del Civ Inail, Francesco Rampi, al pronto soccorso non vengono neppure denunciati come tali, ma come incidenti accaduti durante il gioco: “Il lavoro tra i giovanissimi non va incentivato – ha aggiunto Rampi – ma se non si può evitare va almeno tutelato, per esempio anticipando l’assicurazione per la sicurezza”.
“Le conseguenze possono compromettere il resto della vita”. “Purtroppo non sono rari i casi in cui ragazzini sono costretti a lavorare alla sera, rinunciando a ore di riposo ed esponendosi a una maggior probabilità di malattie come obesità, diabete, tumori – ha sottolineato il presidente dell’Anmil, Franco Bettoni – Molti maneggiano assiduamente sostanze chimiche tossiche, pensiamo ad esempio ai piccoli impiegati in negozi di parrucchiere o come calzolai, meccanici, braccianti agricoli. Ci sono ragazzini che svolgono lavori in cui si devono utilizzare oggetti taglienti o attrezzi pericolosi, altri che aiutano in cantieri edili dove il rischio di incidenti è considerevole. Tutto ciò incrementa moltissimo la probabilità che un piccolo lavoratore si faccia seriamente male, con conseguenze che possono in alcuni casi compromettere tutto il resto della vita”.
La percezione del fenomeno è distorta. La percezione del fenomeno del lavoro minorile, però, è distorta. Il 40% del campione interpellato da Datanalysis, infatti, ha ammesso di non sapere della sua esistenza e ben il 55% è convinto che riguardi esclusivamente i Paesi poveri. Tra chi invece ne è a conoscenza, il 40% pensa che riguardi solo il Meridione e il 30% che coinvolga solo minori stranieri, mentre in realtà dei 260mila lavoratori under 16 solo 20mila non sono italiani. “I dati raccolti – ha commentato Mele – indicano una preoccupante indulgenza dei genitori italiani nei confronti del lavoro minorile: il 26%, con punte del 33% al Sud, non ci vede nulla di male, mentre il 20% ritiene che il giudizio debba dipendere dalla situazione del singolo”.
“Ogni bambino ha il diritto di essere protetto”. Per il presidente di Paidòss, però, ciò che “turba ancora di più è che solo il 34% delle mamme e dei papà costringerebbe a restare sui banchi un figlio intenzionato a lasciare la scuola per lavorare, impedendogli una scelta dannosa per la sua vita: uno su quattro, infatti, ha risposto che accetterebbe la decisione, pur ritenendola un errore, uno su cinque la considera invece una volontà da rispettare comunque. Non è così: ogni bambino ha il diritto di essere protetto dallo sfruttamento economico, in qualunque sua forma”.
(Fonte: INAIL)