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Troppe assenze per malattie non legittimano il licenziamento:

Ad avviso del Tribunale di Milano le troppe assenze per malattie non legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a meno che il datore di lavoro non sia in grado di provare l’inutilità della prestazione lavorativa e codesta prova dovrà essere fornita relativamente ai giorni nei quali il dipendente sia presente in azienda (ordinanza n. 26212 del 2015).

È questo l’argomento affrontato da un articolo pubblicato ieri (22.9.2015) sul Sole 24 Ore (Firma: Giampiero Falasca; Titolo: “Troppe malattie non “legittimano” il licenziamento”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

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Le malattie ripetute del dipendente legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo solo se il datore di lavoro è in grado di provare l’inutilità della prestazione lavorativa; tale prova deve essere fornita con riferimento ai giorni nei quali il dipendente è presente in azienda.

Questa la conclusione con cui il tribunale di Milano (ordinanza 26212/2015) ha accolto l’impugnazione promossa da un dipendente contro il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo dalla propria azienda.

Questo dipendente, pur non avendo superato il periodo di comporto, si era assentato dal lavoro per malattia per un numero complessivo di giornate molto rilevante (oltre 800 assenze su 1.500 giorni). La società lo aveva licenziato, motivando la propria decisione con l’inadeguatezza- sotto il profilo produttivo e organizzativo – della prestazione lavorativa.

Secondo il tribunale, ciascun datore di lavoro può licenziare un dipendente per giustificato motivo oggettivo se le sue assenze, anche incolpevoli, danno luogo a un rendimento così inadeguato da rendere inutile la prestazione. Tuttavia, tale inutilità deve essere provata in concreto, nel senso che le assenze devono rendere inutile la prestazione lavorativa nelle giornate di presenza in azienda.

Tale situazione, secondo il tribunale, non si è verificata: le numerose assenze del dipendente, pur essendo state costanti nel tempo e concentrate prevalentemente in periodi a stretto contatto con ferie e festività, hanno causato profonde difficoltà all’azienda, ma non hanno reso del tutto inutilizzabile la prestazione.

Ciò in quanto, secondo il tribunale, ai fini del licenziamento l’inutilizzabilità della prestazione non deve essere valutata in relazione al numero di assenze ma, piuttosto, deve essere parametrata rispetto ai compiti svolti nei giorni in cui il dipendente si reca al lavoro. La società, quindi, avrebbe dovuto provare che l’attività svolta dal dipendente nei giorni di presenza era sostanzialmente inutile per l’azienda.

Considerato che tale prova non è stata fornita, il giudice ha dichiarato illegittimo il licenziamento. Tuttavia, applicando la legge Fornero, non è stata concessa la reintegrazione sul posto di lavoro, in quanto il motivo posto alla base del licenziamento non era manifestamente insussistente (le assenze del dipendente erano reali), e quindi è stata concessa solo la tutela risarcitoria.

L’ordinanza sottolinea, infine, l’impossibilità di applicare alla vicenda i principi desumibili dalla sentenza 18678 del 4 settembre 2014, con cui la Cassazione ha precisato che l’eccessiva morbilità dovuta a reiterate assenze (anche se “incolpevoli” e nei limiti del periodo di comporto) può legittimare il licenziamento per scarso rendimento, come forma di giustificato motivo soggettivo. Tale pronuncia, secondo il giudice, riguarda un caso diverso, nel quale il datore di lavoro non ha fatto leva sull’impossibilità oggettiva della prestazione ma ha contestato la diversa fattispecie dello scarso rendimento.

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