Licenziamento per gravi violazioni delle direttive aziendali
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17366 del 2015, ha reso il seguente principio di diritto in tema di il licenziamento per gravi violazioni delle direttive aziendali: le gravi violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro e, specificamente, quelli derivanti dalle direttive aziendali – la cui vigenza equivale per un soggetto preposto ad una filiale di istituto di credito, quanto all’onere di conoscerle, alle norme di comune prudenza ed a quelle del codice penale – comportano che, ai fini della legittimità del provvedimento irrogativo di un licenziamento disciplinare, non è necessario indicarle nel codice disciplinare, così come è sufficiente la previa contestazione dei fatti che implichino la loro violazione, anche in difetto di un’esplicita specificazione delle norme violate.
In effetti, prosegue la Corte, comportamenti come quelli contestati al lavoratore appaiono chiaramente di notevole gravità e si rivelano lesivi dell’elemento fiduciario nell’ambito del rapporto di lavoro bancario, anche in presenza di eventuali prassi e direttive interne, evidentemente “contra legem” e contrastanti con lo stesso interesse obiettivo dell’istituto di credito. Da ultimo (Cass. sez. lav. n. 18462 del 29/8/2014) si è, altresì, affermato che “il comportamento del lavoratore subordinato, consistente nella mancata effettuazione, anche parziale, della prestazione lavorativa è in contrasto con il principio della sinallagmaticità delle prestazioni, sicché assume rilievo sotto il profilo disciplinare senza necessità di espressa previsione nel relativo codice”.
È questo l’argomento trattato da un articolo pubblicato oggi (22.9.2015) sul Sole 24 Ore (Firma: Massimiliano Biolchini; Titolo: “Direttive aziendali fuori bacheca”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Il licenziamento per gravi violazioni delle direttive aziendali è legittimo anche se non è stato affisso il codice disciplinare nella sede lavorativa del dipendente.
Lo ha affermato la Corte di cassazione, sentenza 17366 del 1° settembre 2015, con riferimento al caso di un direttore di filiale di un istituto di credito che aveva ripetutamente violato le direttive datoriali, autorizzando anticipi sulla base di semplici fotocopie di fatture, deliberando mutui per importi superiori a quelli consentiti e permettendo a un terzo estraneo alla banca di accedere a una postazione informatica della filiale.
A questo proposito, l’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori prevede, al primo comma, che le norme disciplinari applicabili al rapporto di lavoro, così come le sanzioni irrogabili in caso di loro violazione, debbano essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti.
Nonostante sia prevalsa, in giurisprudenza, una lettura formalistica di tale disposizione – tanto da non ammettere forme di pubblicità equipollenti all’affissione, quali la consegna del codice disciplinare ai singoli dipendenti (Cassazione 4852/2006) – è da lungo tempo consolidato l’orientamento che esclude l’applicazione del principio di necessaria pubblicità preventiva, laddove il comportamento sanzionabile sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, in quanto contrario al cosiddetto “minimo etico”, a norme di rilevanza penale o a principi cardine della organizzazione del lavoro (quale l’assenza ingiustificata dal lavoro – da ultimo Cassazione 24881/2014 e 8784/2015).
Con la sentenza 17366/2015 i giudici compiono tuttavia un significativo passo ulteriore, laddove assimilano ai principi cardine dell’organizzazione aziendale le direttive aziendali che, per un soggetto preposto a una filiale di un istituto di credito, devono ritenersi conosciute alla stessa stregua delle norme di comune prudenza e quelle del Codice penale. In altre parole, secondo la Cassazione non è necessario che tali direttive aziendali siano indicate in un codice disciplinare affisso in bacheca perché la loro violazione possa dar luogo a un legittimo licenziamento disciplinare.
Si tratta senz’altro di una novità rilevante, tenuto conto di come, sempre con riferimento a un direttore di filiale di banca, la stessa Corte avesse in precedenza ritenuto necessaria l’inclusione nel codice disciplinare delle prassi operative bancarie riguardanti la valutazione dei rischi di illiquidità (Cassazione 22626/2013).
Come già in passato, anche in questo caso è la giurisprudenza a farsi carico dell’onere di riscrivere l’ennesima norma anacronistica del nostro ordinamento giuslavoristico, quale l’obbligo di affissione del codice disciplinare previsto dall’articolo 7 della legge 300/1970, nell’era delle intranet e della posta elettronica comunemente impiegati in azienda. Basti pensare a come appaia del tutto incongruo che un provvedimento disciplinare, pur pienamente fondato nel merito, sia tuttavia dichiarato illegittimo per il solo fatto che il datore di lavoro non abbia provveduto all’affissione del codice disciplinare in apposita bacheca all’interno della sede di lavoro del dipendente sanzionato, anche qualora questi ne fosse stato messo comunque a conoscenza mediante circolazione a mezzo email o pubblicazione sul sito aziendale.