Licenziamento per cessazione attività:
Il licenziamento di un dipendente, per giustificato motivo oggettivo, dovuto a cessazione attività a seguito di una fusione tra aziende è nullo e quindi il dipendente deve essere reintegrato in servizio.
Questa la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta, di cui si parla in un interessantissimo articolo(15.7.2015) apparso sul Sole 24 Ore (a firma di: Antonino Porracciolo dal titolo “Associazioni, la fusione e d’azienda”).
Questo l’articolo.
L’impresa è un’entità economica organizzata che persegue stabilmente un preciso obiettivo; inoltre, tale nozione non esclude che l’attività sia esercitata nell’interesse pubblico e senza fini di lucro. Lo afferma la Corte d’appello di Caltanissetta (presidente Perriera, relatore Catalano) in una sentenza del 2 luglio.
Nell’agosto 2012 era stata costituita l’Associazione degli industriali della Sicilia centrale e meridionale (Confindustria Centro Sicilia), in cui erano confluite tre associazioni provinciali. Nel successivo mese di ottobre, una delle associazioni in liquidazione aveva licenziato un proprio dipendente per giustificato motivo oggettivo, costituito dalla cessazione dell’attività. Così il lavoratore aveva impugnato il licenziamento, chiedendo di essere reintegrato nel neocostituito organismo in base all’articolo 2112 del Codice civile; ciò sul presupposto che tra le due associazioni era intervenuto un trasferimento d’azienda. Il Tribunale aveva respinto la domanda, ritenendo che Confindustria provinciale non si potesse qualificare come azienda. Il dipendente ha quindi impugnato la decisione, sostenendo che la tutela prevista dall’articolo 2112 si applica anche alle associazioni senza scopo di lucro che producono servizi di natura economica.
Nell’accogliere l’impugnazione, la Corte si sofferma, innanzitutto, sulla nozione di azienda. In base alla direttiva Cee 187/1977, come interpretata dalla Corte di giustizia, per verificare «l’esistenza di un’impresa è irrilevante – si legge nella motivazione – la finalità soggettiva perseguita»; ciò che conta «è l’esistenza di un complesso di mezzi produttivi (materiali o immateriali) remunerati, stabilmente organizzati per raggiungere un determinato obiettivo». Inoltre, la direttiva Ce 50/1988 ha specificato che la disciplina del 1977 «si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un’attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro». E il legislatore italiano, recependo il quadro normativo sovranazionale, ha modificato l’articolo 2112 del Codice civile, stabilendo che è trasferimento d’azienda «qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità».Nel caso esaminato, i giudici d’appello hanno verificato che Confindustria provinciale svolgeva servizi di assistenza e consulenza aziendale in favore delle singole imprese; e tali servizi erano resi mediante «l’impiego di fattori produttivi remunerati», a cominciare da prestazioni lavorative retribuite. La struttura locale costituiva, dunque, «un’azienda, ossia un complesso stabilmente organizzato di persone ed elementi che consentono l’esercizio di un’attività volta a perseguire un determinato obiettivo», il che determina l’applicabilità della normativa contenuta nell’articolo 2112 del Codice civile. Inoltre, è stato accertato che Confindustria Centro Sicilia svolge le stesse attività già espletate dall’associazione provinciale.
In base a tali premesse, la Corte dichiara quindi nullo il licenziamento, giacché l’attività dell’organismo provinciale non era cessata, ma trasferita alla nuova associazione di Confindustria.