Licenziamento illegittimo dei dirigenti con indennità su misura:
Il decreto legislativo n. 23 del 2015 di attuazione del Jobs Act ha introdotto il nuovo contratto a tutele crescenti che si applica – come è noto – esclusivamente ai lavoratori inquadrati come operai impiegati o quadri assunti a tempo indeterminato successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. Invece in caso di licenziamento illegittimo dei dirigenti viene prevista una indennità su misura in applicazione della vecchia normativa e delle regole contenute nei CCNL di settore.
Daniele Colombo nel suo articolo sul Sole 24 Ore del 13 luglio 2015 ha scritto sull’argomento un articolo molto interessante su questo argomento (Dirigenti, uscita con indennità su misura) che di seguito integralmente si riporta.
Dirigenti con indennità ad hoc in caso di licenziamento illegittimo. Il nuovo contratto a tutele crescenti introdotto con il Jobs act e disciplinato dal Dlgs 23/2015, in vigore dal 7 marzo, si applica infatti solo ai lavoratori che siano operai, impiegati o quadri assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del provvedimento.
Per il personale dirigenziale si applicano le tutele già in vigore, anche in base alle previsioni del contratto collettivo di riferimento. In diversi casi infatti, come si vede dal grafico a lato, le indennità da corrispondere in caso di licenziamento riconosciuto illegittimo, sono diverse rispetto al risarcimento di due mensilità di retribuzione per anno di anzianità previsto dal Dlgs 23/2015 (per le aziende sopra 15 dipendenti). Ma chi è il dirigente? E quale regime di tutela si applica al personale dirigenziale assunto dopo il 7 marzo 2015?
La legge italiana, in generale, non contiene una definizione di dirigente. La contrattazione collettiva, ma soprattutto la giurisprudenza, negli anni, hanno individuato gli elementi caratterizzanti del dirigente. Secondo i giudici, la qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, ricopra un ruolo di vertice nell’organizzazione o, comunque, occupi una posizione tale da poter influenzare l’andamento aziendale. Perché possa essere riconosciuto lo status di dirigente, infatti, è sufficiente che il dipendente, per la sua qualificazione professionale e per l’ampia responsabilità assunta, operi con autonomia e responsabilità, dovendosi fare riferimento alla molteplicità delle dinamiche interne, alle diversità delle forme di estrinsecazione della funzione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti) e alla contrattazione collettiva di settore, idonea a esprimere la volontà delle associazioni stipulanti in relazione al singolo settore produttivo.
Dal dirigente vero e proprio la giurisprudenza distingue il cosiddetto «pseudo-dirigente», che, preposto a un singolo servizio, ufficio o reparto, svolge la sua attività sotto il controllo gerarchico dell’imprenditore con poteri di iniziativa notevolmente ridotti.
L’importanza di questa distinzione (che andrà lentamente scemando con l’avvento del contratto a tutele crescenti) risiede nella tutele contro i licenziamenti illegittimi.
Infatti, se il dirigente vede interamente applicarsi la disciplina del licenziamento ad nutum, lo pseudo-dirigente, risultando un ordinario dipendente con funzioni direttive, si avvale delle tutele previste per i lavoratori non dirigenti (articolo 18 dello statuto dei lavoratori e Dlgs 23/2015).
Per i dirigenti, quindi, la disciplina di riferimento si trova negli articoli 2118 e 2119 del Codice civile, nelle tutele contro il licenziamento discriminatorio e nullo previste dall’articolo 18 della legge 300/1970, nella normativa sul licenziamento collettivo illegittimo del dirigente in base alla legge 161/2014 (articolo 16) e, soprattutto, nella tutela indennitaria prevista dai contratti collettivi.
Il dirigente potrà essere reintegrato in servizio in base all’articolo 18 della legge 300/1970 nei casi di licenziamento discriminatorio o nullo. In quest’ultimo caso, il giudice, accertata la discriminazione o il motivo di nullità, oltre a disporre la reintegra in servizio, condannerà il datore a versare un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento al quello dell’effettiva reintegrazione con un minimo di 5 mensilità (detratto l’eventuale aliunde perceptum) oltre i contributi previdenziali e assistenziali. La reintegrazione potrà essere sostituita a sola scelta del dirigente con un’indennità di 15 mensilità.
Se invece il dirigente è licenziato illegittimamente nell’ambito di una procedura di riduzione collettiva del personale (per vizi procedurali o anche per violazione del criterio di scelta), la legge 161/2014 stabilisce che, fatte salve le diverse previsioni dei contratti collettivi, il datore di lavoro dovrà versare al dirigente un’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, considerando la gravità della violazione.