Tumore al seno e rientro al lavoro:
Oggi ci occupiamo di un argomento un po’ delicato, che tocca da vicino le donne e cioè la ripresa del lavoro dopo un tumore al seno.
Da una ricerca che ha coinvolto 122 donne lavoratrici e 21 aziende è emerso che per le donne che hanno vissuto questa terribile e dolorosissima esperienza il ritorno al lavoro e alla quotidianità significa rinascita e speranza per il futuro. Tale ricerca condotta da Europa Donna Italia con l’Istituto di ricerca Euromedia Research si è svolta mediante una intervista (one to one) a donne lavoratrici, molte non ancora ufficialmente guarite, e ad aziende, per un totale di circa 250 ore di ascolto, per “delineare un quadro chiaro del loro rientro in azienda”.
Si legge nel comunicato di Europa Donna Italia che “l’81,4% delle intervistate testimonia di aver vissuto una profonda interferenza della malattia nell’attività lavorativa. Il 53,8% ammette di aver incontrato difficoltà e problemi nella ripresa della propria attività lavorativa dopo la malattia”.
È emerso inoltre che per le donne in questione sorgono tre grandissimi problemi che aggravano in un certo senso il peso della malattia e nello specifico:
- problemi strutturali (frammentarietà del corpus normativo, tutele parziali e non certe che spesso si dissolvono nella demarcazione troppo confusa tra i diritti della lavoratrice e le facoltà dell’azienda);
- problemi legati a informazioni carenti e spesso inaccessibili: le donne al rientro al lavoro devono trovare un ambiente in grado di fornire indicazioni chiare sul proprio percorso di reintegro sul piano delle proprie mansioni; carenza di iniziative di sensibilizzazione e prevenzione nelle aziende;
- problemi connessi alla rigidità nella gestione dei tempi di cura (conciliare orari di lavoro e cure necessarie).
Come tristemente noto la diagnosi di tumore al seno coinvolge (purtroppo) ogni anno oltre 48.000 donne ed è il tipo di cancro che più spesso colpisce il sesso femminile, ciò significa che un tumore maligno su tre si presenta al seno e coinvolge prevalentemente donne, con le seguenti percentuali: sotto i 49 anni (41%), tra 50 e 69 anni (36%), ultrasettantenni (21%). Osservando tali percentuali appare evidente che ad essere più colpite sono le donne nel pieno della vita lavorativa e dunque è un problema che coinvolge anche le aziende. Scopo dell’indagine di Europa Donna Italia, dunque, è proprio quello di sollecitare istituzioni e imprese ad occuparsi più approfonditamente di tale vicenda, sia mediante la corretta informazione e la diagnosi precoce, che attraverso la tutela del tempo per le cure necessarie.
Fondamentale per sconfiggere questa malattia è lo screening e la diagnosi precoce non solo dopo i 50 anni ma anche prima, soprattutto se in famiglia ci sono persone che hanno già sofferto di tale tipo di tumore (c.d. familiarità).
Come risulta dalle Proposte di intervento di Europa Donna Italia che saranno presentate alle Istituzioni, occorrerebbe innanzi tutto:
- un riordino della normativa in materia anche mediante la redazione di un Testo Unico del Malato Oncologico;
- l’armonizzazione delle tutele contenute nei Contratti Collettivi anche mediante l’introduzione di norme che garantiscano: di evitare che il lavoratore perda il posto di lavoro per il decorso del periodo di comporto e di agevolare il suo reinserimento nel posto di lavoro;
- il diritto all’informazione grazie alla conoscenza dei responsabili delle risorse umane (o dei datori di lavoro in generale) della normativa applicabile in questi casi;
- l’invito alla semplificazione con una più accessibile e semplice burocrazia collegata;
- l’introduzione di un programma di Welfare che preveda ad esempio: assistenza psicologia specifica, percorso di cure riabilitative, consulenza giuslavoristica, tessera di prestazioni prepagate o a copertura di spese mediche e medicinali; ecc.
- l’incentivazione delle politiche territoriali relative alla conciliazione del lavoro dei malati oncologici con le reti di imprese che offrono servizi di Welfare;
- adeguata formazione in merito alle problematiche connesse ai malati oncologici del personale sanitario e attivazione in ambito regionale di percorsi di formazione specifici per malati oncologici che rientrano nel mercato del lavoro, con adeguato supporto psicologico; introduzione di percorsi di formazione aziendale per la corretta gestione nell’impresa dei casi di lavoratori malati di cancro;
- introduzione di un sistema sanzionatorio più incisivo nei confronti delle aziende in caso di demansionamento, mobbing, rifiuto immotivato delle aziende a rimodulare l’orario di lavoro verso i lavoratori oncologici, ecc.
- flessibilità contrattuale dell’orario di lavoro;
- snellimento delle pratiche burocratiche (principalmente presso INPS e ASL);
- sostegno sociale con l’istituzione di uno sportello dedicato regionale per i diritti del malato oncologico che assista il lavoratore.
È emerso infine da tale ricerca che se per il 69% delle lavoratrici malate di cancro le aziende hanno fornito tutta la tutela necessaria, per le altre si sono registrate penalizzazioni importanti come demansionamento, mancata applicazione delle tutele vigenti, discriminazioni o rientro in anticipo in azienda per il timore di perdere il posto di lavoro.
Tutti i risultati della ricerca sono disponibile cliccando qui: Sintesi dei risultati.
(Fonte: Europa Donna Italia)