Abogados in Spagna: si può
“Fare ritorno in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo ottenuto in un altro Stato membro non costituisce una pratica abusiva“. È quanto deciso dalla Corte di Giustizia europea con la sentenza del 17 luglio 2014 (resa nelle cause C58/13 e C59/13). Pertanto, grazie a questa decisione, sarà consentito partire dall’Italia verso la Spagna ad ottenere il titolo di avvocato. Condotta questa contestata dal Consiglio nazionale forense che parlava al riguardo di “pratica abusiva” e che ha dato l’avvio al giudizio innanzi alla Corte di Giustizia europea.
Ad avviso degli eurogiudici “per i cittadini dell’Unione, la possibilità di scegliere lo Stato membro nel quale acquisire il proprio titolo o quello in cui esercitare la propria professione è inerente all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati“.
Si legge nel Comunicato Stampa della Corte di Giustizia Europea del 17 luglio scorso che: “Nella sua odierna sentenza, la Corte rammenta anzitutto che, al fine di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello di conseguimento della qualifica professionale, la direttiva sullo stabilimento degli avvocati istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli degli avvocati migranti che desiderino esercitare la professione con il titolo di origine. Il legislatore dell’Unione ha inteso in tal modo porre fine alle disparità tra i requisiti d’iscrizione nazionali, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione. La direttiva mira quindi ad armonizzare completamente i requisiti applicabili al diritto di stabilimento degli avvocati. La Corte ha già statuito che il certificato di iscrizione nello Stato membro di origine è l’unico requisito cui è subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, affinché detto interessato possa esercitarvi facendo uso del proprio titolo professionale di origine. La Corte sottolinea che ai singoli non deve essere consentito di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione e che uno Stato membro ha il diritto di adottare ogni misura necessaria per impedire un’elusione abusiva della normativa nazionale da parte dei suoi cittadini. A tale riguardo, la Corte ricorda che l’accertamento dell’esistenza di una pratica abusiva richiede un elemento oggettivo (ossia che lo scopo perseguito dalla normativa dell’Unione non deve essere stato raggiunto, nonostante il rispetto formale della medesima) e un elemento soggettivo (cioè che deve emergere una volontà di ottenere un vantaggio indebito)“.
Ciò premesso, la Corte ha dichiarato, come sopra si è detto, quanto segue “in un mercato unico, la possibilità, per i cittadini dell’Unione, di scegliere lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo e quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è inerente all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati. Il fatto che il cittadino di uno Stato membro, in possesso di una laurea conseguita nel proprio paese, si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi il titolo di avvocato e faccia in seguito ritorno nel proprio paese per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nell’altro Stato membro è la concretizzazione di uno degli obiettivi della direttiva e non costituisce un abuso del diritto di stabilimento. Neppure la circostanza che la domanda di iscrizione all’albo degli avvocati sia stata presentata poco tempo dopo il conseguimento del titolo professionale nello Stato membro di origine costituisce un abuso del diritto, poiché la direttiva non prescrive un periodo di esperienza pratica nello Stato membro di origine“.
La Corte ha quindi concluso sostenendo che “non costituisce una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro in possesso di una laurea si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia ritorno nel proprio paese per esercitarvi avvalendosi del titolo professionale ottenuto nell’altro Stato membro“.(Fonte: Corte di Giustizia UE)