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Licenziamenti collettivi anche per i dirigenti

I licenziamenti si definiscono collettivi quando vengono intimati dalle imprese con più di 15 dipendenti, le quali effettuino, in conseguenza di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, almeno 5 licenziamenti in un arco temporale di 120 giorni, in ciscuna unità produttiva nell’ambito della stessa provincia. Per tale ipotesi di recesso (da intimarsi comunque in forma scritta) è prevista una procedura molto complessa contenuta nella L.n. 223/1991 e succ.mod.

A norma dell’art. 4, comma 9, della L.n. 223/1991 cit., restano esclusi dai licenziamenti collettivi i dirigenti. Pertanto a tali figure professionali non viene applicata la normativa sui licenziamenti collettivi e tale esclusione è stata altresì confermata nel tempo anche dalla giurisprudenza e dalla dottrina dominanti. Ciò probabilmente a causa del particolare rapporto fiduciario che lega il dirigente e il datore di lavoro, per tale ragione definito come l’alter ego dell’imprenditore. Il dirigente infatti è quel prestatore d’opera subordinato preposto alla direzione di una intera organizzazione aziendale o anche di una branca rilevante e autonoma di questa, ed esplica le sue mansioni con generale supremazia gerarchica, ampi poteri di autonomia e piena libertà di determinazione, che gli consentono, nel quadro delle direttive generali dell’imprenditore (e quindi senza l’obbligo di chiedere di volta in volta a quest’ultimo particolari istruzioni) di imporre, nell’ambito delle finalità perseguite dall’impresa, i propri discrezionali poteri di disposizione, così da influenzare, con il suo operato, l’intera vita dell’azienda tanto nel suo interno quanto nei rapporti esterni con i terzi.

In passato, la Direttiva 98/59/CE in materia di licenziamenti collettivi, era intervenuta dettando una disciplina comune applicabile a tutti gli Stati membri che prevedeva quali destinatari delle procedure relative ai licenziamenti collettivi tutti i lavoratori subordinati ed escludendo da tale novero i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato (“a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o dell’espletamento del compito previsto nei suddetti contratti“), i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e gli equipaggi di navi marittime. Ma nonostante tale direttiva e le sollecitazione della Commissione europea, in Italia si è continuato ad escludere le figure dirigenziali dalle procedure di licenziamento collettivo sul presupposto che la normativa e la contrattazione collettiva garantiscono ai dirigenti una miglior tutela in termini economici rispetto alle norme contenute nella citata Direttiva.

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Tuttavia di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza C-596/2012 del 13 febbraio 2014, ha stabilito che “Avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 9, della legge del 23 luglio 1991, n. 223, recante norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato di lavoro, la categoria dei “dirigenti” dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/58/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva”.

Tale decisione, si intuisce facilmente, avrà un forte impatto sulle norme che disciplinano i licenziamenti dei dirigenti e ovviamente su quelli collettivi. Pertanto il legislatore sarà chiamato ad un rapido intervento di adeguamento della normativa in materia per evitare ulteriori condanne del nostro Paese. A questo punto, probabilmente, le aziende che intenderanno procedere a licenziamenti collettivi faranno bene a coinvolgere anche i sindacati del personale dirigente onde evitare – in un futuro prossimo – dichiarazioni di irregolarità di tutta la procedura.

Allegati: DIRETTIVA 98_59_CE DEL CONSIGLIO  Corte Europea sentenza 13_2_2014

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