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Obblighi contributivi relativi al socio

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 15/2012 è intervenuta per chiarire i dubbi sulla legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica, relativa alla disciplina riguardante gli obblighi contributivi relativi al socio di società a responsabilità limitata che ricopra contemporaneamente anche l’incarico di amministratore della società.

La questione della corretta individuazione degli obblighi contributivi del socio amministratore di s.r.l., iscritto per tale incarico presso la gestione separata INPS (ex art. 2, co. 26, L.n. 335/1995), in riferimento altresì alla sua eventuale iscrizione anche alla gestione degli esercenti attività commerciale (ex art. 1, co. 203, L.n. 662/1996), viene dunque chiarito dalla decisione della Corte Costituzionale di cui sopra. In parte i dubbi di costituzionalità di tale questione erano già stati anticipati e risolti dalle pronunce della Corte a SS.UU. (n. 17074 e 17076 del 2011).

Vediamo in sintesi le varie vicende normative e giurisprudenziali che hanno portato all’intervento e alla decisione della Corte Costituzionale di cui sopra.

Il socio amministratore di una s.r.l., per quanto concerne il profilo contributivo, può essere tenuto ad un duplice obbligo contributivo e nello specifico:

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  1. obbligo di iscrizione alla gestione separata (ex art. 2, co. 26 L.n. n. 335/1995);

  2. obbligo di iscrizione alla gestione commercianti (ex art. 1, co. 203, L.n. 662/1996 che ha modificato l’art. 29, co. 1, L.n.. 160/1975).

Come noto, l’obbligo di iscrizione alla gestione separata è previsto per coloro che “esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 49 del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui all’articolo 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426.”, come recita l’art. 2, co. 26, L.n. 335/1995, e quindi tale obbligo è esteso anche a coloro che percepiscono reddito derivante dall’esercizio abituale, anche se non esclusivo, di arti e professioni e dall’incarico di amministratore e sindaco di società con o senza personalità giuridica.

Invece l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti riguarda, secondo quanto previsto dall’art. 1, co. 203, L.n. 662/96, i soggetti in possesso dei seguenti requisiti:

a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
b) abbiano la piena responsabilita’ dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non e’ richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonche’ per i soci di societa’ a responsabilita’ limitata;
c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualita’ e prevalenza;
d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”.

Sono tenuti dunque all’obbligo contributivo i soci di s.r.l. che operano nel settore commerciale. A tal fine è bene evidenziare che:

  • l’attività prestata da tali soggetti non deve discostarsi da quella prestata dall’unico titolare della ditta commerciale;

  • tali soggetti con partecipazione prevalente ed abituale debbono contribuire all’attività aziendale.

In tal caso l’obbligo contributivo di cui sopra grava direttamente sul socio della s.r.l. l e viene calcolato in base al reddito d’impresa dichiarato dalla società a fini fiscali e attribuito pro quota allo stesso, in base alla sua partecipazione societaria.

Inoltre all’art. 1, co. 208, L.n. 662/1996 è previsto che: “Qualora i soggetti di cui ai precedenti commi esercitino contemporaneamente, anche in un’unica impresa, varie attivita’ autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia e i superstiti, sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attivita’ alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente. Spetta all’Istituto nazionale della previdenza sociale decidere sulla iscrizione nell’assicurazione corrispondente all’attivita’ prevalente. Avverso tale decisione, il soggetto interessato puo’ proporre ricorso, entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento, al consiglio di amministrazione dell’Istituto, il quale decide in via definitiva, sentiti i comitati amministratori delle rispettive gestioni pensionistiche.

Si tratta quindi di una deroga al principio della doppia iscrizione in caso di duplice attività lavorativa i cui effetti ricadono, sotto il profilo contributivo, sotto gestioni previdenziali diverse.

Al verificarsi di tali ipotesi l’INPS aveva stabilito che doveva applicarsi il criterio della prevalenza dell’attività in caso di concorso di più attività autonome svolte in forma di impresa da commercianti, artigiani e coltivatori diretti escludendo in tal modo le attività da cui scaturivano obblighi contributivi nei confronti di altre gestioni (gestione separata).

Pertanto la giurisprudenza di merito formatasi sull’argomento teneva a mente tale indicazione fornita dall’INPS e quindi le sue decisioni erano favorevoli rispetto all’astratta duplicità di iscrizione nella gestione commercianti e nella gestione separata. Invece la Corte di Cassazione aveva interpretato diversamente e quindi riteneva che il criterio di cui al comma 208 cit. dovesse applicarsi anche nel caso di socio amministratore iscritto alla gestione separata. Ciò comportava che l’iscrizione alla gestione commercianti poteva essere ammessa solo dove l’attività di amministratore fosse secondaria rispetto all’attività commerciale svolta dal socio amministratore all’interno dell’azienda.

In presenza di tali contrasti giurisprudenziali sono intervenute le Sezioni Unite della Corte Suprema che, con con la sentenza n. 3240/2010, hanno affermato che il comma 208 cit. utilizzando il criterio dell’assorbimento, di fatto non rendeva possibile la duplice iscrizione per il socio di s.r.l. iscritto alla gestione separata che svolgesse anche attività commerciale. E quindi una volta individuata l’attività prevalente operata da parte dell’INPS era solo in relazione al reddito prodotto da questa ultima che doveva commisurarsi il relativo obbligo contributivo.

Ma nonostante l’intervento della Suprema Corte i contrasti di cui sopra non venivano appianati. A questo punto si è reso necessario l’intervento del legislatore che con l’art. 12, co. 11 del D.L. n. 78/10 convertito in L.n. 122/2010, ha fornito una interpretazione autentica del comma 208 cit. come segue: “le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’Inps. Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione dell’art. 1, comma 208, legge n. 662 del 1996 i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui all’art. 2, comma 26, legge 8 agosto 1995, n. 335“.

Alla sua stregua dunque le attività autonome per le quali opera il principio della selezione dell’assicurazione obbligatoria secondo il criterio della prevalenza, sono, come sopra, quelle esercitate in forma d’impresa da commercianti, artigiani e coltivatori diretti, restando esclusi coloro che sono iscritti alla gestione separata ex art. 2, comma 26, L.n. 335/1995.

Dopo l’intervento del legislatore ovviamente si sono levate le varie critiche di legittimità costituzionale della suddetta norma di interpretazione, sintetizzabili sotto un duplice profilo:

  • il primo in relazione alla effettiva natura di norma di interpretazione autentica dell’art. 12 cit., poichè di fatto si tratta di una modifica al testo normativo originario dal quale scaturisce una nuova disciplina;

  • il secondo in relazione alla efficacia retroattiva della norma, che se considerata come di interpretazione autentica comporterebbe: violazione del principio di uguaglianza; lesione dell’affidamento; insussistenza di motivi di interesse pubblico; lesione delle garanzie di difesa anche in relazione ai processi in corso.

Dopo l’intervento interpretativo del legislatore, anche le Sezioni Unite della Corte Suprema, con le decisioni di cui sopra (nn. 17074 e 17076/2011), hanno confermato che l’art. 12 cit., costituisce di fatto una norma di interpretazione autentica poichè il chiarimento in esso contenuto è quello più vicino al significato logico giuridico ricavato dalla norma intepretata.

A questo punto la Corte Costituzionale con la sentenza in esame adotta un ragionamento che si inserisce pacificamente sul solco già tracciato dalle sentenze delle Sezioni Unite.

Il punto nodale della questione, secondo la Corte, non sta però tanto sulla questione della interpretazione fornita dall’art. 12 cit., quanto sulla questione della retroattività della norma stessa.

Il ragionamento operato dalla Corte dunque comporta che anche se si tratta di una norma a carattere interpretativo, di fatto tale qualificazione non impedisce di considerare la sua efficacia retroattiva che – come è noto – è ammissibile solamente in presenza di particolari situazioni e con la garanzia dell’osservanza del principio di uguaglianza e del principio dell’affidamento, senza che ciò comporti lesione dell’equilibrio degli interessi in gioco anche sui processi in corso.

La Corte Costituzionale quindi ha chiarito che il divieto di retroattività della legge non ha fondamento costituzionale tranne che per le leggi penali. Invece la questione della retroattività legata ad una norma di interpretazione non può essere automatica, dovendo comunque trovare un limite nell’esigenza di tutela di principi, diritti o beni di rilievo costituzionale di interesse generale.

Pertanto la Corte Costituzionale ha messo a tacere le critiche, di cui sopra, sollevate sulla legittimità costituzionale dell’art. 12 sostenendo, in sintesi:

  • sulla effettiva natura di norma di interpretazione autentica: di fatto il legislatore ha chiarito il significato già contenuto nella norma interpretata, eliminando così una situazione di incertezza ma senza però “creare” una nuova norma prima inesistente. Tra l’altro l’interpretazione fornita dal legislatore risulta del tutto coerente con quelle già fornite in passato sull’argomento dallo stesso INPS;

  • da ciò discende la legittimità della retroattività della norma stessa;

  • cadono pertanto anche le altre critiche di incostituzionalità sollevate circa la lesione del diritto di difesa (poichè si tratta di una modifica sostanziale e non processuale); non vi sono le c.d. invasioni di campo (poichè l’attività interpretativa non è riservata al potere giudicante); non vi è lesione del principio della parità delle parti nel processo, poichè tale interpretazione è relativa ad una disciplina generale ed astratta che non va ad intaccare il processo; non vi è violazione dell’art. 117 Cost., poichè l’intervento normativo non cosituisce una indebita ingerenza del legislatore.

La Corte Costituzionale quindi ha concluso escludendo ogno tipo di indagine giudiziaria volta ad individuare la prevalenza dell’una o l’altra attività, cioè dell’attività di amministrazione e dell’attività commerciale. A tale stregua dunque non potranno più essere respinte le richieste dell’Inps al pagamento della contribuzione relativa alla gestione commercianti semplicemente mediante l’invocazione della prevalenza dell’attività collegata alla carica di amministratore della stessa società

E quindi, vista l’irrilevanza del comma 208 cit., dovrà comunque essere tenuta in considerazione l’attività lavorativa svolta dall’interessato che sia tale da rendere necessaria, senza alcun dubbio, l’iscrizione del socio nella gestione degli esercenti attività commerciale. Ciò naturalmente risulterà abbastanza complicato per quelle aziende di piccole dimensioni in cui non sarà facile individuare con sufficiente chiarezza l’attività commerciale dall’attività amministrativa. Solo sotto questo profilo dunque dovrà intervenire il giudice di merito che sarà tenuto a verificare, caso per caso, l’apporto preminente del socio sull’attività aziendale in connessione con il raggiungimento dello scopo sociale.

In conclusione dunque il principio della Corte Costituzionale può essere così sintetizzato: “È costituzionalmente legittimo l’art. 12, comma 11 del Dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, art.1, comma 1 – che prevede che la legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1 comma 208 si interpreta nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti nelle corrispondenti gestioni dell’Inps, mentre restano esclusi dall’applicazione della legge n. 662/1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista

l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26. La norma costituisce disposizione dichiaratamente ed effettivamente di interpretazione autentica, diretta a chiarire la portata della disposizione interpretata“.

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