Il licenziamento intimato dal datore di lavoro senza la sussistenza della giusta causa o giustificato motivo è illegittimo. La giusta causa e il giustificato motivo trovano la loro previsione e disciplina nella L.n. 604/1966, e negli art. 2118 e 2119 del codice civile.
Il lavoratore, nel caso in cui venga illegittimamente licenziato, ha la possibilità di ricorrere al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, per tutelare i propri diritti. Qualora il giudice del lavoro accertasse la illegittimità del licenziamento, si avranno conseguenze differenti in base al numero dei dipendenti occupati in azienda, con applicazione, in favore del lavoratore licenziato, della tutela obbligatoria, nel caso di datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti (art. 2 della L.n. 108/1990), o della tutela reale nel caso di datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti (art. 18 L.n. 300/1970).
In caso di giudizio, sarà naturalmente il giudice che valuterà se le motivazioni poste a base del licenziamento possiedono le caratteristiche proprie della giusta causa e del giustificato motivo, di norma specificamente indicate nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Nei contratti collettivi infatti vengono elencate dettagliatamente, a titolo esemplificativo, tutte quelle condotte del lavoratore che possono essere qualificate come illeciti disciplinari e per esse vengono indicate le conseguenze, ossia le relative sanzioni, ivi compreso anche il licenziamento con preavviso (art. 3 L.n. 604/1966) o in tronco, senza preavviso (art. 2119 c.c.).
Il giudice tuttavia nella sua valutazione dei motivi di licenziamento e nella decisione conseguentemente presa non è vincolato dalle previsioni dei contratti collettivi. Ciò significa che il giudice, visto che il concetto di giusta causa è stabilito dalla legge (e non dai contratti collettivi), deve sempre valutare secondo il suo criterio, se le previsioni dei contratti collettivi siano conformi a quanto stabilito dalla legge al riguardo e cioè siano conformi alle previsioni dell’art. 2119 c.c. in tema di giusta causa o di giustificato motivo (art. 3 L.n. 604/1966). Deve inoltre sempre valutare se, applicando i principi di proporzionalità e ragionevolezza, la condotta di cui viene “accusato” il lavoratore sia di rilevanza tale da giustificare l’applicazione della massima sanzione, ossia del licenziamento.
A tale stregua dunque il giudice procede come segue: valuta di tutti gli elementi del caso sottoposto al suo esame; valuta la reale gravità dei fatti contestati e addebitati al lavoratore; valuta le circostanze che hanno portato il lavoratore a comportarsi in quel determinato modo; valuta l’elemento intenzionale del comportamento sanzionato; valuta la proporzionalità tra l’addebito contestato al lavoratore e la sanzione applicata; valuta se il comportamento contestato al lavoratore è idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario; valuta il comportamento complessivo del lavoratore durante tutta la durata del rapporto di lavoro (cioè irrogazione a suo carico di altri provvedimenti disciplinari). Tutte queste valutazioni ovviamente saranno sì il frutto di interpretazioni personali del giudice, ma avranno sempre come parametro di riferimento, come sopra si è detto, sia quanto previsto dalla legge che dalla contrattazione collettiva.
Per quanto concerne poi la quantificazione del risarcimento spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, in caso di rapporto di lavoro rientrante in regime di tutela obbligatoria, il giudice terrà conto delle dimensioni e delle condizioni dell’attività esercitata dal datore di lavoro, delle condizioni del mercato del lavoro locale, dell’anzianità e delle condizioni del lavoratore, nonchè del comportamento delle parti anche prima del licenziamento (art. 30, comma 3 della L.n. 183/2010 – Collegato Lavoro).