Occorre innanzi tutto premettere che l’art. 2094 c.c. definisce il lavoratore subordinato come colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.Partendo da tale definizione, per quel che qui interessa, appare evidente che il prestatore di lavoro è obbligato contrattualmente a mettere a disposizione dell’imprenditore le sue energie psicofisiche in cambio della retribuzione.
A prima vista, dunque, l’esecuzione della prestazione lavorativa costituisce un obbligo, anzi sicuramente l’obbligo principale, del lavoratore. Tuttavia in alcuni casi particolari, l’esecuzione della prestazione lavorativa diventa un vero e proprio diritto del lavoratore e ciò accade quando si prendono in considerazione due aspetti legati al rapporto di lavoro: l’interesse personale e la professionalità del prestatore. Questo si verifica in particolar modo per precise figure professionali, come ad esempio per gli apprendisti (che hanno tutto l’interesse ad eseguire la prestazione lavorativa per accrescere il proprio bagaglio professionale che consentirà loro, una volta acquisita l’esperienza necessaria, di progredire nella carriera); per i lavoratori dello spettacolo, ivi compresi sportivi e giornalisti, (che hannno sicuramente un grandissimo interesse ad eseguire realmente la prestazione professionale, proprio per avere la possibilità di farsi conoscere dal pubblico e accrescere e perfezionare la loro professionalità); per i lavoratori in prova (che ovviamente sono fortemente motivati ad eseguire la loro prestazione professionale, ed eseguirla nel migliore dei modi, al fine di superare con esito positivo il periodo di prova ed ottenere così l’assunzione definitiva). Ma la questione del diritto ad eseguire la prestazione vale in realtà per tutti i lavoratori, perchè ovviamente rimanere inattivi e/o non accrescere il proprio bagaglio professionale, crea nel dipendente, che sia operaio o impiegato non è importante, situazioni di forte stress, malessere e disagio.
A sostegno di quanto sin qui affermato, interviene anche l’art. 2103 c.c. il quale stabilisce che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
Quindi anche se, come sopra si diceva, l’esecuzione della prestazione lavorativa è innanzi tutto l’obbligo principale del lavoratore (e quindi un dovere), essa si eleva a vero e proprio diritto in tutti quei casi in cui si verificano situazioni di forzata inattività o mancata crescita professionale del dipendente a causa di comportamenti del datore di lavoro. Costituisce infatti comportamento illegittimo da parte del datore di lavoro tenere inattivo un dipendente, isolarlo dal resto dei colleghi non consentendogli di crescere professionalmente, svuotare di contenuto le sue mansioni, adibirlo a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto (salvo casi particolari).
Non si deve inoltre dimenticare che a norma dell’art. 2087 c.c. il datore di lavoro è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Ed è proprio il concetto di tutela della personalità morale che contiene in sè il diritto del lavoratore all’esatta esecuzione della prestazione lavorativa. Quindi il datore di lavoro che non consente al dipendente di eseguire la sua prestazione professionale (o lo assegni a mansioni inferiori o svuoti di contenuto le sue mansioni, ecc.) si rende inadempiente ai suoi obblighi contrattuali. Tale inadempimento, naturalmente come tutti gli inadempimenti, provoca un danno al lavoratore che dovrà essere risarcito.
In conclusione dunque possiamo senza dubbio sostenere che:
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esiste un vero e proprio diritto di tutti i lavoratori ad eseguire la propria prestazione professionale in base alle mansioni per le quali sono stati assunti o a quelle superiori che con il tempo e l’esperienza hanno conseguito;
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il comportamento datoriale che impedisca l’esecuzione delle mansioni, riduca o svuoti di contenuto le mansioni stesse (demansionamento professionale) costituisce una violazione di tale diritto;
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il pregiudizio in tal modo arrecato alla vita e alla personalità morale del lavoratore dorà quindi essere risarcito (risarcimento che riguarderà vari aspetti come ad esempio la dequalificazione professionale, la riduzione e/o l’impoverimento della professionalità, la mancata crescita professionale, la perdita di chance e cioè la possibilità di maggiori guadagni, la lesione della integrità psicofisica, la lesione dell’immagine e della vita di relazione, ecc.).