L’art. 2110 c.c. “Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio”, prevede che “In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge [o le norme corporative] non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali , dagli usi o secondo equità. Nei casi indicati nel comma precedente, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.
Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell’anzianità di servizio.”
Il principio fondamentale resta sempre quello che vieta al datore di lavoro di licenziare il lavoratore assente per malattia o infortunio, ma se tali assenze superano il periodo stabilito di regola dai contratti collettivi di settore, il datore di lavoro ha il diritto di recedere dal contratto mediante licenziamento ex art. 2118 c.c., adducendo come motivazione il superamento del c.d. “periodo di comporto“.
Il “periodo di comporto” è un periodo entro il quale il datore di lavoro è tenuto a tollerare l’assenza del lavoratore colpito da infermità o malattia, si tratta infatti del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro al lavoratore malato o infortunato. E più nello specifico, si tratta di quell’arco temporale in cui il lavoratore, assente per infortunio o malattia, continua a percepire la retribuzione (o una indennità), nonostante non si rechi al lavoro e durante il quale ha diritto alla conservazione del posto.