Procedimenti disciplinari nel pubblico impiego, le precisazioni della Cassazione:
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 23268 del 2017, è intervenuta in materia di procedimenti disciplinari nel pubblico impiego precisando che in base al D.Lgs. n. 165 del 2001 (art. 55) ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari.
Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l’addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente. Ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva contestazione scritta dell’addebito al dipendente, che viene sentito a sua difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Trascorsi inutilmente quindici giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione viene applicata nei successivi quindici giorni. Il D.Lgs. 165/2001 è integrato poi dai relativi contratti collettivi applicabili al rapporto di lavoro che di norma definiscono la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni.
Pertanto, la Corte Suprema, ha ritenuto – come si legge nella sentenza 23268/2017 – che la “segnalazione” che il capo della struttura invia all’U.P.D., non costituisce ancora avvio del procedimento, ben potendo l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari ritenere, in propria competenza, di non avviarlo con la notifica della contestazione, come è confermato dalla distinzione della “segnalazione” rispetto alla “contestazione”, costituente il primo atto del procedimento disciplinare. D’altra parte, l’istruttoria, che inerisce al procedimento è quella cui provvede l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari; essa, infatti, fa seguito alla contestazione disciplinare e non la precede, come si desume dall’ordine delle fasi riportate dall’art. 55 citato (“contesta l’addebito…, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione”) … mentre le informazioni raccolte dal capo struttura costituiscono una fase prodromica, funzionale ad una verifica di non manifesta infondatezza mediante un esame preliminare della notizia dell’infrazione. L’espressione “su segnalazione del capo struttura in cui il dipendente lavora” individua soltanto un compito istituzionale, che fa capo al dirigente che, in ragione della posizione organizzativa e funzionale ricoperta, sia in grado di acquisire la conoscenza dei fatti di potenziale rilievo disciplinare commessi dai dipendenti. A tale fase procedimentale resta estranea la posizione del lavoratore, che viene in rilievo solo con la contestazione dell’addebito, ossia con l’avvio del procedimento disciplinare in senso proprio, da cui scaturiscono anche le garanzie difensive dell’incolpato.
E quindi la Suprema Corte su tale aspetto ha concluso che la “competenza” del trasmittente o segnalante la notizia all’U.P.D. non ha alcuna efficacia incidente sulla correttezza del procedimento disciplinare, perché non v’è alcuna previsione di nullità che possa inficiare il successivo – e solo eventuale – procedimento disciplinare nella ipotesi in cui la notizia degli illeciti sia stata acquisita da organi diversi dal responsabile della struttura alla quale appartiene il lavoratore.
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